Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 30 Lunedì calendario

Elogio controcorrente del petrolio

WIMBLEDONX

Giovani e adulti sfilano per le città di tutto il mondo per salvare il pianeta. Sette ragazzi americani su dieci, secondo una ricerca della Kaiser Foundation, temono che i cambiamenti climatici causeranno danni irreversibili alla loro generazione e uno su quattro è già diventato militante della lotta alle emissioni. Un rapporto di Transport & Enviroment dice che dovremmo passare al trasporto elettrico entro due o tre anni, a meno di non voler friggere a causa del surriscaldamento globale. 
Il bel libro di Jonathan Safran Foer Possiamo salvare il mondo prima di cena, edito da Guanda, dice che comprare un’automobile ibrida in realtà non serve a niente, anzi sarebbe una catastrofe, perché «il calo delle emissioni da tubo di scappamento sarebbe ampiamente compensato dall’esigenza di aumentare la produzione elettrica per alimentare le batterie» visto che, per esempio, in Cina il 47 per cento dell’elettricità deriva dal carbone. Inoltre, scrive ancora Safran Foer, la principale responsabile delle emissioni nell’atmosfera non è l’industria dei trasporti, semmai quella dei prodotti animali. Se le mucche fossero un Paese, continua lo scrittore americano, sarebbero il terzo inquinatore del mondo dopo Cina e Stati Uniti. Considerando anche la deforestazione necessaria a ospitare gli allevamenti, secondo i calcoli meno conservativi delle Nazioni Unite, i prodotti derivanti dagli animali, carne e latticini, sarebbero responsabili del 51 per cento della totalità delle emissioni nell’atmosfera. La soluzione, quindi, non è cambiare macchina, semmai dieta. 
Chi è consapevole della gravità della crisi ambientale si divide non tanto tra ottimisti e pessimisti, ma tra chi sostiene sia utile dire apertamente che possiamo ancora farcela a contenere il surriscaldamento globale a un grado e mezzo, e quindi a salvare il pianeta, e chi invece spera sia più efficace riconoscere che la partita sia persa e quindi cominciare già adesso a adattarci allo scenario peggiore. Tra i primi ci sono gli esperti convocati dalla rivista Time per confezionare un numero distopico che racconta, immaginando di essere già nel 2050, le cose che faremo nei prossimi trent’anni per salvare la Terra, ma anche l’Economist. Tra gli altri, invece, ci sono autori come Jonathan Franzen e Roy Scranton che provano a spiegare come la consapevolezza dell’inesorabile condanna umana possa provocare non solo rassegnazione ma anche resistenza, e quindi non tanto una resa alla prospettiva della fine ma un uso della prospettiva fatale per esaltare la vita.
In questo scenario apocalittico, ma anche realistico, che lascia tutti spiazzati arriva un sapidissimo contribuito italiano sotto forma di saggio, edito da Feltrinelli, intitolato Elogio del petrolio. Energia e diseguaglianza dal mammut all’auto elettrica, scritto da Massimo Nicolazzi, manager dell’energia in Italia e all’estero e docente di Economie delle risorse energetiche all’Università di Torino.
Con un passo rigoroso e sarcastico allo stesso tempo, Nicolazzi canta le lodi del ruolo svolto dai carburanti fossili nella storia del progresso dell’umanità, vera liberazione dalla schiavitù, e avverte che l’inevitabile transizione a energie alternative per evitare di finire tutti arrosto avrà un costo molto elevato, oltre che un’efficacia ancora da dimostrare. Non solo un costo economico nel senso che serviranno molti soldi (che al momento non ci sono), ma anche un costo sociale salatissimo perché la transizione dal fossile a qualcos’altro che l’innovazione tecnologica ancora dovrà individuare ha effetti fortemente regressivi sulla società (per usare le parole di Nicolazzi, «la signora Gina e il signor Antonio» pagheranno la transizione tanto quanto «il conte Attilio»).
Il petrolio non finirà, scrive Nicolazzi, grazie alle maggiori tasse al massimo diventerà antieconomico estrarlo, ma in ogni caso bisogna evirare che le scelte politiche alimentino il populismo delle periferie contro le stesse élite che si preoccupano di salvare il pianeta, come è accaduto in Francia con il movimento dei gilet gialli nati per contrastare una tassa ecologica sui Suv. Buona fortuna.