La Stampa, 30 settembre 2019
Il muro che divide i ricchi e i poveri di Lima
Lo chiamano «el muro de la verguenza», il muro della vergogna. Dieci chilometri di cemento, alto due metri e poi tre, filo spinato a chiudere l’altezza, quasi fosse un carcere o un lager. Lo hanno costruito tre decenni fa, centinaia di operai edili, arrivati nottetempo scortati dalla polizia. Lo hanno eretto in una settimana, lo hanno modellato sul disegno delle ondulate colline che svettano su Lima. Doveva servire a fermare l’immigrazione rurale, a impedire che migliaia di poveri contadini, in fuga dal terrore maoista di «Sendero Luminoso», trovassero una nuova vita ai margini della capitale del Perù. Oggi, trent’anni dopo, quel muro è il simbolo che divide due pianeti: quello dei poveri, dei paria, dei diseredati da quello dei milionari, dei potenti, dei privilegiati.
Grandi baraccopoli dai nomi altisonanti - San Juan de Miraflores, Villa María del Triunfo, Pamplona Alta - a poche decine di metri dai ricchi ed esclusivi quartieri di La Molina, Santiago de Surco, Casuarinas. Da una parte stamberghe di compensato e tetti di lamiera che mani virtuose hanno reso multicolori, dall’altra ville esclusive, piscine hollywoodiane, il bianco che brilla il doppio. Per chi vive da una parte è impossibile andare dall’altra, è un muro di confine che sancisce una differenza sociale incolmabile, che ha alterato le vite, le sensazioni, le percezioni di coloro che vivono su entrambi i lati.
In Perù è un argomento quasi tabù, l’Alcaldia di Lima, con la sua storia secolare (il primo sindaco risale al 1535) orgoglio del Perù, è assente o impotente. Un tempo le chiamavano «barriadas», poi «insediamenti giovani», un eufemismo locale per nascondere la bruta realtà. La politica promette e non mantiene, la corruzione dilaga, la criminalità cresce. Sulla stampa locale qualche coraggioso giornalista ne parla, i media americani, del Nord e del Sud, ogni tanto provano a far sapere al mondo. A Lima il vertiginoso aumento della popolazione dipende soprattutto dalle «barriadas». Nel 1961 nelle baraccopoli vivevano 200 mila persone, oggi sono 5 milioni, circa il 40% della popolazione della capitale.
Da 15 mila dollari a 4 milioni
Pamplona Alta ne rappresenta il cuore. Ci vivono 100 mila persone, la maggioranza indios, ammassate in casupole che hanno un loro mercato immobiliare: circa 15mila dollari, quando oltre il muro si parte da 3 mila dollari al metro quadro e le ville più belle costano oltre 4 milioni di dollari. Non sono pochi quelli di Pamplona Alta che lavorano - come domestiche, baby sitter, sguatteri - per i ricchi di Casuarinas. Vivono a dieci minuti a piedi di distanza, ma per andare dai loro padroni impiegano quasi due ore, possono arrivare solo con bus affollati e il traffico caotico di Lima. Perché dal Muro non si passa, se non nei pochi varchi dove guardie private (e ben armate) controllano l’identità.
E poi c’è l’acqua, la maledetta acqua. Che a Casuarinas scorre abbondante dai rubinetti, innaffia i giardini, riempie le piscine e costa dai 30 centesimi a 1 dollaro e mezzo al metro cubo, mentre a Pamplona Alta viene immagazzinata in grandi botti di plastica all’incredibile costo di nove dollari. Per l’acqua i poveri di Lima pagano dieci volte di più dei ricchi. In una villa vicina al Muro, vive anche Gastón Acurio, lo chef che ha reso famosa nel mondo la cucina peruviana. Lui è uno dei pochi della parte ricca che quel Muro vorrebbe abbatterlo. Ora sta per aprire la sua seconda scuola di cucina, che accoglie gli studenti meno poveri, proprio a Pamplona Alta, dopo il successo della prima, anche quella in uno dei quartieri più disagiati di Lima. Nel 2010 il governo ha presentato un ambizioso piano urbanistico ventennale per risolvere i problemi delle «barriadas». Finora è stato fatto poco o nulla. Il «muro della vergogna» resta, monumento alla diseguaglianza.