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 2019  settembre 30 Lunedì calendario

Chi fa soldi con l’emergenza rifiuti



Diceva a tutti i sindaci: «Lei ha tanti problemi. Se lascia la discarica aperta le assicuro che per i suoi cinque anni non se ne dovrà occupare». Lo disse anche a Ignazio Marino, che l’ha riferito, testuale, alla commissione parlamentare d’inchiesta. Ma lui, appena in Campidoglio, chiuse i 240 ettari di Malagrotta, la più grande discarica d’Europa che dal 1963 al 2013 aveva inghiottito cinquanta milioni di tonnellate d’immondizia sputata fuori dalla città eterna. Per l’Ue quella discarica si doveva chiudere entro il 31 dicembre 2007, e invece era rimasta aperta altri sei anni. Sembrava proprio a terra, Manlio Cerroni: quell’uomo arrivato da Pisoniano, minuscolo paese della campagna romana, che per mezzo secolo era stato il padrone dei rifiuti. E quanto ne fosse il padrone, sta a dimostrarlo l’incredibile numero di dipendenti passati all’Ama, l’azienda pubblica romana dei rifiuti da cui incassava più di 100 milioni l’anno, provenienti dal suo paese: un centinaio, per difetto. Su 732 abitanti. Uno su sette almeno erano netturbini a Roma. Anche loro lo chiamavano “Il Supremo”.
Ma era una supremazia, disse Marino in Parlamento, «mai conquistata con procedure di evidenza pubblica, gare competitive o selezioni trasparenti». Spedire i rifiuti a Malagrotta era semplice e apparentemente pure economico, e i politici che sedevano in Campidoglio non si dannavano l’anima per rispettare le regole. Senza però preoccuparsi del fatto che quel problema si sarebbe prima o poi ripresentato in maniera devastante. Sembrava dunque finita per “Il Supremo”, investito anche da un’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata, dicevano i magistrati, «a consentire l’ampliamento della posizione di monopolio di Cerroni e delle sue aziende nella gestione dei rifiuti». Ma lui non mollava, e continuava a tempestare la nuova sindaca di Roma, Virginia Raggi, di lettere che ripetevano il ritornello: «Solo io posso risolvere il problema…». E un bel giorno, dopo che in primo grado i giudici l’avevano assolto, e perfino riabilitato perché “operava”, scrissero, “per l’interesse collettivo”, eccolo rispuntare. Con il nuovo cda dell’Ama che di fronte alla città sommersa dalla spazzatura non riesce a far altro che chiedergli aiuto. Cerroni si frega le mani. A 93 anni il prossimo 18 novembre, e con un nuovo rinvio a giudizio recapitatogli giusto un paio di settimane fa per il malfunzionamento degli impianti di anni e anni fa, il padrone dei rifiuti di Roma continua a essere lui. E Roma è il centro del suo impero, dove c’è di tutto. Dalle discariche alla tecnologia per trattare l’immondizia, venduta pure in Giappone. La commissione parlamentare ha ricostruito la mappa della immensa galassia di interessi che fanno capo a Cerroni e alle sue due figlie Monica e Donatella individuando ben 131 fra aziende e sigle varie.
Dicono tutto, la storia e la figura di questo personaggio, di come l’Italia sia diventata ostaggio della spazzatura. Il sistema dev’essere tenuto sempre sulla corda tesa, ai confini dell’emergenza, in un equilibrio instabile fra le grandi mult iutility (pubbliche) del Nord e i “monnezzari” privati che fanno un sacco di soldi. Sono famiglie. Come gli Albanese, che hanno conquistato la Puglia. O i De Gennaro in Campania. Oppure la dinastia Maio in Abruzzo. O la famiglia di Roberto Sancinelli, che dalla crisi dei rifiuti degli anni 90 a Milano ha organizzato in Lombardia sotto benevoli sguardi leghisti la più grande industria di compostaggio d’Europa. Roba da 650 mila tonnellate di materiali organici l’anno. Personaggi pressoché sconosciuti, che si tengono volentieri alla larga dai riflettori. E dal mercato. Perché mercato significa pericolosa trasparenza. In un giro d’affari di 28 miliardi l’anno è quotata in Borsa una sola azienda privata di trattamento rifiuti. È la Biancamano spa dei fratelli Pizzimbone, liguri di ponente ritenuti amici del potente dominus locale del centrodestra Claudio Scajola e tra i primi fondatori dei circoli della libertà di Marcello Dell’Utri in Sicilia. In Borsa capitalizza meno di 9 milioni. Pier Paolo Pizzimbone è stato deputato Pdl e poi commissario di Fdi a Savona. Nel 2018 ha patteggiato un anno per estorsione nei confronti di alcune ditte siciliane. I rapporti con la politica sono ingrediente decisivo in un business che attraversa non di rado una zona grigia. Nella quale ha talvolta un ruolo importante anche la criminalità organizzata. E il futuro è denso di incognite.
Prendiamo, per esempio, la Sicilia. Lì non ci sono inceneritori né grandi impianti di compostaggio. Solo discariche. Le principali sono in mano ai privati, che ottengono dai politici via libera a sconsiderati ampliamenti con grande facilità, mentre i lavori nelle discariche pubbliche s’inceppano misteriosamente. Bellolampo, la grande collina di proprietà del Comune che da trent’anni mastica i rifiuti di Palermo, è satura. I lavori per la settima (settima!) vasca dovevano essere già conclusi, invece devono ancora iniziare. Così le mille e rotte tonnellate d’immondizia che ogni giorno si producono a Palermo e dintorni vanno dall’altra parte dell’isola, alle discariche private. Soprattutto in quella, immensa, della famiglia Leonardi. Si trova tra Catania e Lentini, dove in poco tempo i Leonardi hanno messo su una impresa, la Sicula trasporti, che fattura quasi 100 milioni di euro all’anno. Mentre la discarica cresce sempre. Nel gennaio 2018 ha ottenuto dalla Regione un ennesimo ampliamento per 1,8 milioni di metri cubi che vale 180 milioni di euro. Oggi i re dell’immondizia in Sicilia sono loro: una famiglia che sta comprando mezza Catania. Alberghi, squadre di calcio, palazzi, bar, immobili. Una fortuna che ha come unico filo conduttore, ha scritto la commissione parlamentare d’inchiesta, l’emergenza. Prefetti, sindaci, presidenti di Provincia, governatori, tutti hanno firmato aumenti di cubatura. «Dall’esame dei documenti”, scrivono i commissari, “si conclude che tutti i decreti di autorizzazione ambientale rilasciati non possiedono le caratteristiche di conformità legislativa né permettono l’effettuazione di controlli. Ciò ha determinato una grave compromissione del territorio». I rifiuti di Palermo andranno anche in un’altra grande discarica privata, quella della Oikos dei Proto, tra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco. Sono loro i principali datori di lavoro della zona e i sindaci di Motta Sant’Anastasia, ultimo il leghista Anastasio Carrà, devono fare i conti con loro. Uno dei Proto, Domenico, è stato appena condannato in primo grado per aver corrotto un funzionario regionale che si occupava di autorizzazioni ambientali.
Il resto dovrebbe essere smaltito a Siculiana, nell’impianto della famiglia di Giuseppe Catanzaro, già presidente di Confindustria locale, braccio destro di quell’Antonello Montante appena condannato a 14 anni per associazione a delinquere e altri reati. Catanzaro si è autosospeso dalla carica in Confindustria, perché indagato in uno dei filoni della stessa inchiesta.
Ma dal Sud c’è anche un imponente traffico di rifiuti che va verso il Nord. Dove c’è chi sta facendo affari d’oro sfruttando la mancanza di impianti nel Mezzogiorno. In particolare nel Veneto, che accoglie la differenziata del Lazio, della Campania e della Calabria, con aziende arrivate in poco tempo a fatturati astronomici. Tipo la Sesa di Este, piccolo centro a due passi da Padova. Una società diventata leader in Italia nella produzione di compost per concime agricolo. Una inchiesta di Fanpage ha sollevato più di un dubbio sia sulla proprietà di questa impresa sia sulla qualità del concime che poi finisce nei terreni agricoli. Il Comune di Este ha il 51 per cento delle quote, il resto delle quote è di Angelo Mandato, che entra nella società nel 1995 insieme a Sandro Rossato: un imprenditore calabrese arrestato nel 2014 perché sospettato di essersi aggiudicato degli appalti in Calabria con i favori della ‘ndrangheta. Rossato morirà prima della fine del processo. Mandato è il re del compostaggio in Veneto, con quote anche in altre due grandi aziende: la Bioman e la Biogreen. Il suo responsabile delle relazioni esterne è Fabrizio Ghedin, ex consulente della ex sottosegretaria del ministero per l’Ambiente, la leghista Vannia Gava. La Biogreen ha dato un finanziamento di 30 mila euro alla Lega, mentre l’ex vicepresidente della Bioman risponde al nome di Gianpaolo Vallardi, leghista presidente della commissione Agricoltura del Senato.
E quando iniziano a seguire il flusso dei rifiuti che dal Sud vanno al Nord i magistrati hanno intercettato anche smaltimenti illeciti. Ma esattamente al contrario di ciò che avveniva un tempo, quando il Sud era la pattumiera del Nord. Un caso dice tutto. Si è scoperto un traffico illegale di rifiuti, speciali e non, che provenivano dalla Campania e venivano smaltiti nelle province di Milano, Mantova, Brescia, Lodi, Verona. Spazzatura fatta viaggiare su mezzi di ditte colluse e occultata da un giro di documenti falsi. Secondo i giudici un ruolo chiave l’avevano i fratelli Stefano e Maurizio Assanelli che si occupavano fisicamente del trasporto e dello smaltimento. Intercettati, esultavano: “La merda diventa oro!”.