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 2019  settembre 29 Domenica calendario

Colm Tóibín, lo scrittore irlandese, autore di nove romanzi, due raccolte di racconti e vari saggi, fra i quali Il faro di Blackwater (Fazi 2002), Il Testamento di Maria ( Bompiani 2004) entrambi finalisti al Booker Prize, The Master (Fazi 2002) vincitore dell’Impac Award, è a Capri, perché ha vinto il Premio Malaparte

Colm Tóibín, lo scrittore irlandese, autore di nove romanzi, due raccolte di racconti e vari saggi, fra i quali Il faro di Blackwater (Fazi 2002), Il Testamento di Maria ( Bompiani 2004) entrambi finalisti al Booker Prize, The Master (Fazi 2002) vincitore dell’Impac Award, è a Capri, perché ha vinto il Premio Malaparte. Il prestigioso premio letterario riservato a scrittori stranieri è stato fondato da Alberto Moravia su iniziativa di Graziella Lonardi Buontempo e rilanciato nel 2012 dalla nipote della famosa collezionista, Gabriella Buontempo, e grazie al sostegno di Michele Pontecorvo Ricciardi, sarà assegnato stamattina alle 11, nel corso di una cerimonia alla Certosa San Giacomo.
Come ha deciso di diventare uno scrittore?
«È sempre misterioso sapere perché scrivi. Noi irlandesi non abbiamo sinfonie o quartetti d’archi. Nessun Beethoven, Schubert e nemmeno un Rembrandt: comprare tele, pennelli e colori costava troppo. Non abbiamo un’aristocrazia: i latifondisi erano tutti inglesi e gli irlandesi vivevano chiusi nei loro villaggetti a raccontarsi storie. Poi c’era la vicinanza con Londra, gli inglesi ci hanno dato la lingua e noi l’abbiamo restituita. L’unico modo per uscire dalla miseria infatti era l’istruzione. James Joyce, che veniva da una famiglia poverissima, fu mandato a studiare dai gesuiti. Anche in casa mia, nulla era più importante dei libri. Mia madre prima di sposarsi scriveva versi, poi smise perché mio padre s’interessava solo di storia, ma continuò tutta la vita a leggere poesia. Io avevo 12 anni quando mio padre morì, e quella perdita forse è stata il motore per la mia strada. Chissà, forse avrei potuto fare un lavoro più utile»
Vuol dire che quello di scrittore è un mestiere inutile?
«Rispetto al medico o al pompiere lo scrittore fa qualcosa che è un di più, ma i libri non si mangiano. Non si può dire che siano utili, anche se è la cosa migliore che esiste al mondo. E l’idea stessa di civiltà inizia quando il cavernicolo decide di resta nella sua caverna e comincia a disegnare sui muri»
Come nasce in lei l’ispirazione?
«Dall’esperienza e dall’immaginazione. Parto di solito da un luogo, da una piccola città come Enniscorthy dove sono nato. Quando ho scritto su Henry James, era successo che lessi un racconto e scoprii di avere la sua età, così cercai di mettermi nei suoi panni. Auden raccomandava di scrivere sempre quello che può colpire un bambino. Ed io cerco sempre di entrare in una stanza e scoprire cosa c’è dentro».
Com’è nato La casa dei nomi, questo suo tentativo di reinterpretare i miti?
«Dal confronto con alcune attrici, con cui volevo portare a teatro Il testamento di Maria. Inziai a pensare al rapporto tra grandi ruoli e i drammi della storia. Volevo sapere che fine avesse fatto Oreste. Quando scrivi di sesso, la regola è niente similitudini, niente metafore. Ma se scrivi di una violenza, ti devi immedesimare, devi sentire ciò che è successo esattamente. Io vivo da solo, a volte non so nemmeno di che genere sono. Scrivevo di notte, mi svegliavo alle tre del mattino e pensavo di essere Clitennestra»
Adesso a cosa sta lavorando ?
«A un romanzo su Thomas Mann e la storia della sua famiglia, l’infanzia, la moglie, i sei figli, la fuga dalla Germania nazista, l’arrivo a Los Angeles. Sta anche per andare in scena a Dublino la mia pièce di teatro, Pale Sister, che è una versione dell’ Antigone dal punto di vista di Ismene, la sorella che non ne vuole sapere della sepoltura del fratello Polinice».
Lei continua a vivere a Dublino?
«Sì ma vado e vengo dall’America, dove insegno Letteratura inglese a Los Angeles e a New York. E spesso vado anche in Spagna, che frequento da quando avevo vent’anni».
Qual è il libro migliore fra gli ultimi che ha letto?
«La biografia di Lucian Freud scritta da William Feaver, un libro bellissimo. Dopo aver scoperto Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, ho scritto un’introduzione ai suoi racconti. Di recente ho anche letto La scuola cattolica di Edoardo Albinati, di cui non dirò nulla finché non esce la mia recensione sulla London Review of Books».
E il suo scrittore preferito?
«Fra i viventi in lingua inglese, Don DeLillo. Trovo bravissima anche Marilynne Robinson, che però ha scritto solo quattro romanzi».
E se Philip Roth fosse ancora vivo?
«Di scuro lui. Io sono un solitario, un tipo triste, un giorno a Londra ho comprato un biglietto per un concerto, e sono andato a sentire il Quartetto di Béla Bartók. Era un sabato pomeriggio e incontrai Philip Roth, un uomo speciale che come me adorava la musica da camera. 
E l’opera? 
«L’adoro. In primavera andrò a sentire al Metropilitan L’Olandese volante di Richard Wagner, col baritono Sir Byrn Terfel. E la settimana prossima parto per Palermo, per la prima al Teatro Massimo del Winter Journey, un viaggio nella desolazione dei migranti, che non è un’opera ma una sorta di oratorio per tre voci e cori composto da Ludovico Einaudi sul mio libretto».
Come giudica la Brexit?
«Col no deal, noi irlandesi rischiamo di tornare indietro di trent’anni, quando la frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord, che saltò solo con l’ingresso nell’Unione Europea, era una via tortuosa infestata da contrabbandieri di ogni sorta, nonostante i posti di blocco e i continui controlli. Sarebbe meglio un compromesso diplomatico, cosa che Angela Merkel ha capito benissimo, meglio dei nostri politici. Ma viviamo un momento sfortunato. Corbyn, il capo dell’opposizione è inutile e il capo del governo, Boris Johnson, è disattento»
La monarchia inglese sopravviverà?
«È un’istituzione medievale, che cattura ancora la nostra immaginazione. Gli inglesi sono interessati alle classi sociali e legatissimi all’aristocrazia, quindi Carlo salirà al trono e poi Camilla Parker Bowles, che da sempre sostiene la lettura, ha anche dato il suo patrocinio al Booker Prize. Gli irlandesi sono ovunque benvenuti, mi ha detto quando l’ho incontrata. E lei sarà benvenuta in Irlanda ho risposto da rappresentante dell’Irlanda».
E tra Kate e Meghan chi preferisce?
«Oh, io sono solo un povero scrittore. Non son degno di dare una risposta»