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 2019  settembre 29 Domenica calendario

La desertificazione dell’Adriatico

Trieste L’Adriatico si impoverisce, e potrebbe diventare un deserto. Eppure secondo pescatori e scienziati italiani e di Croazia e Slovenia una soluzione c’è, e passa attraverso la Fossa di Pomo, un esperimento internazionale che potrebbe aiutare il ripopolamento della fauna ittica adriatica.
Il tempo però stringe. Per esempio per le acciughe, che insieme alle sardine costituiscono il 30% del pescato italiano e l’80% di quello croato, «la situazione è terribile, non è mai stata così drammatica negli ultimi decenni», dice Simone Libralato, dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste (OGS). Secondo il Comitato per la Pesca dell’Ue, il pesce azzurro è vicino al collasso. Ma anche sgombri, tonni e altre specie sono pescati oltre la sostenibilità. Di 47 specie di interesse economico, solo 6 non sono sovrasfruttate.
Peccato, perché «l’Adriatico sarebbe un hot spot per la pesca, e ora Croazia e Italia si contendono la risorsa», spiega Sasa Raicevich, dell’Ispra di Chioggia. E aggiunge: «C’è però anche il desiderio di non perderla del tutto, questa risorsa». Di fatto gli italiani prelevano il 70-80% del pescato, ma la maggior parte del pesce è nella metà croata del bacino. Per l’Italia in ballo ci sono 263 milioni di euro di prodotto ittico. «La ex-Jugoslavia prima quasi un’area protetta. La pesca era di fatto artigianale, praticata sotto costa – dice Raicevich – Con l’ingresso nell’Ue la Croazia si è dedicata alla pesca industriale, armandosi di una flotta peschereccia e spostandosi oltre le 12 miglia, l’area di competenza nazionale».
E adesso, mentre l’Italia con la pesca frena, la Croazia accelera. Negli anni ’70 l’Italia pescava 70-90mila tonnellate tra sardine e acciughe (dati Fao); oggi 40-60mila tonnellate l’anno. La flotta croata negli anni ’90 pescava 16mila tonnellate di pesce azzurro, oggi ben 60mila.
Malgrado la risorsa diminuisca, l’aumento dello sforzo di pesca favorito da tecnologie e navigli più avanzati mette a rischio pesci e pescatori. Che però si sono accorti di cosa sta accadendo. Renzo Zennaro, pescatore in pensione di Chioggia, ricorda: «Fino dieci anni fa non avevo mai visto un peschereccio croato. Oggi li incontri anche in acque internazionali. Il problema è che siamo in tanti». «Prima eri come Mosè: camminavi sull’acqua, da quanto pesce c’era», esclama Guido De Grassi, di Trieste. «Noi pescatori triestini una volta misuravamo il pesce a tonnellate, non a chili».
Ora però c’è una strategia, proposta da Libralato e i suoi colleghi croati e sloveni: è il progetto europeo Fairsea, condiviso tra i Paesi circum-adriatici. L’idea è sfruttare la naturale mobilità della risorsa ittica: nelle aree protette il pesce si ripopola, e da lì si sposta in tutto il bacino. Per ora le aree protette coprono solo l’1% dell’Adriatico, ma l’esperienza della Fossa di Pomo è un nuovo modello. «L’istituzione della zona ristretta alla pesca nella Fossa di Pomo nel centro del bacino è una iniziativa bilaterale tra Croazia e Italia», spiega Nedo Vrgoc, dell’Istituto per l’oceanografia e la pesca di Spalato. «È la più grande area protetta nel Mediterraneo: 1500 kmq di divieto totale e altrettanti di zone tampone, dove la pesca è consentita solo due giorni la settimana. È un esempio di come due paesi possano cooperare per proteggere le risorse».
Secondo Libralato, da quando la Fossa di Pomo è tutelata (cioè dal 2016) si sono già visti dei segnali positivi. Per esempio il nasello si sta riprendendo. «È la proprietà delle aree protette: le specie si ripopolano, ed emigrano in aree dove la cattura è consentita».
La soluzione proposta è dunque un mix di provvedimenti per regolare l’intensità della pesca e di chiusure periodiche di aree per il ripopolamento. I pescatori però dovranno essere aiutati. Il solo mantenimento della barca è un costo, e ogni stop è un duro colpo per le loro entrate, spiega Libralato. Ma in breve i risultati si vedranno: più pesce, più sano, e di dimensioni maggiori.