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 2019  settembre 29 Domenica calendario

Conclusione deludente del vertice sul clima

VANITYXLa settimana scorsa, in quella sala a New York, i Paesi del mondo non hanno espresso la chiara intenzione di voler scongiurare il primo, vero guaio multilaterale della storia umana. E non è bastato il grido di Greta in piena Assemblea Generale: «Come osate distruggere il nostro futuro?». I leader mondiali tergiversano e così si sono riempite le pazze di giovani delusi dalla politica che cercano leader in grado di ascoltarli veramente e di agire. In tempi brevi, non quelli fissati a New York con solo 77 paesi che hanno dichiarato di voler raggiungere il traguardo delle emizzioni-zero entro il 2050 (e si tratta per lo più di piccole nazioni con capacità di investimento limitate).«Il mondo ha visto chiare ambizioni e iniziative» per la riduzione delle emissioni di gas-serra, ha dichiarato António Guterres nel chiudere il Climate Summit di New York, convocato in coincidenza con l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il settantenne segretario generale, ideatore del vertice e impegnato da mesi nel disperato tentativo di farlo entrare nella storia, va capito. I climatologi dell’Ipcc hanno appena pubblicato uno studio sugli effetti della crisi climatica sugli oceani, che si stanno alzando e acidificando più del previsto, e Guterres lo sa benissimo: in vista del Summit, si è fatto fotografare per la copertina di Time immerso fino alle ginocchia nelle acque di Tuvalu, l’isola del Pacifico destinata a scomparire con l’innalzamento dei mari. Ma neppure questo è servito. Per certo, il Climate Summit 2019 dell’Onu non entrerà nella storia.
È vero che una pattuglia di fondi pensione e di compagnie assicurative con 2.300 miliardi di dollari investiti ha promesso di escludere dal portafoglio azionario le imprese che danneggiano l’ambiente, ma certo non domani: entro il 2050. È vero che 87 grandi multinazionali, da Ikea a Nestlé, hanno annunciato un proprio obiettivo di taglio delle emissioni ma, in assenza di politiche climatiche internazionali più stringenti, l’impatto è limitato. Forse la migliore notizia del Summit è venuta dalla Russia che, a quattro anni dall’Accordo di Parigi sul clima, ha finalmente deciso di ratificarlo.
Il segretario generale Guterres, gran sacerdote del multilateralismo nato nel 1948 con le Nazioni Unite, non è riuscito a smuovere le acque. Non ci sono riusciti neppure i milioni di giovani che hanno contestato l’incapacità della politica internazionale nel fronteggiare la crisi climatica capitanati da Greta. Il problema del multilateralismo è che l’unilateralismo va troppo di moda. «Il futuro non appartiene ai globalisti – ha dichiarato il giorno dopo Donald Trump – ma ai patrioti». Una dichiarazione che va contro la Carta dell’Onu e contro il buon senso. Eppure è perfettamente allineata con l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Ora, il problema è che quando lo storico inquinatore del mondo cancella gli standard di efficienza delle automobili già fissati da Obama, incoraggia l’uso del carbone e perfino «liberalizza» le perdite di metano dei produttori di gas, gli altri Paesi non vengono certo incoraggiati a fare di più.
Guterres sperava in un rilancio della Cina, che non c’è stato. «La Cina manterrà fedelmente le proprie promesse – ha detto Wang Yi, inviato di Xi Jinping – mentre alcuni Paesi non le rispettano», indovinate quali. L’Europa non ha rilanciato. E neppure l’Italia: il piano strategico per le emissioni zero entro il 2050, del quale ha accennato Giuseppe Conte a New York, è ancora troppo incerto e fumoso. È degno di nota che il presidente del Consiglio abbia incluso nei programmi la chiusura di tutte le centrali a carbone entro il 2025. Ma per raggiungere questo obiettivo entro cinque anni, ci vorrebbe subito un piano di massicci investimenti su energie rinnovabili ed efficienza energetica.