La Stampa, 29 settembre 2019
Che cosa è l’Europa?
L’Europa – l’Unione europea – ha molti problemi e tuttavia sembra che i più pressanti, quasi esclusivi, siano di natura contabile, l’equilibrio di bilancio, il debito, la sostenibilità, gli investimenti, la competitività globale, questioni serissime, naturalmente. Ma le difficoltà dell’edificazione di una casa comune sono più antiche e dipendono dalla vaghezza e dall’incostanza con cui l’Europa ha dato una definizione di sé, ideale e dunque concretissima. Eppure l’Unione si era avviata nel Secondo dopoguerra sul rifiuto dei totalitarismi, sull’affermazione delle democrazie liberali, sui fondamenti dei diritti universali dell’uomo codificati nel 1789 all’alba della Rivoluzione francese (ispirati dalla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776) e puntellati dalla Dichiarazione dei diritti universali delle Nazioni unite del 1948. Nelle ultime settimane la nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen ha cercato di presentarsi ripiantando qualche picchetto.
Lo ha fatto senza una reale strategia, però, con decisioni volanti, poco meditate, scomposte, formulate in modo per alcuni particolarmente sgradevole. Anzitutto è stata assegnata al commissario Margaritis Schinas la titolarità alla «difesa dello stile di vita europeo» a fianco di quelle alle migrazioni e alla sicurezza. Poi è stata approvata una risoluzione che equipara il nazismo e il comunismo. la decisioni hanno armato i partiti della sinistra europea (e anche alcuni liberali) poiché è sembrata una sgraziata rincorsa ai temi sovranisti e nazionalisti. Nel primo caso non è piaciuto l’accostamento fra migrazione e sicurezza, oltre alla difesa di uno «stila di vita» europeo francamente indefinibile; nel secondo ha scandalizzato la comparazione fra i satrapi neri e rossi, poiché i primi (specificamente Hitler) partono da presupposti malvagi mentre i secondi approdano alla malvagità partendo da presupposti edificanti (per non parlare dell’unicità dello sterminio degli ebrei). Insomma, si è tentato di fermare la perdita d’acqua infilando un dito nel buco, ma forse l’aspetto più interessante è che le critiche, e furibonde, si sono soffermate sul dito, mentre dal buco continua a sgorgare acqua.
Gli appassionati del tema potranno continuare a stilare classifiche dei dittatori (Mao Zedong batterà in semifinale Augusto Pinochet?), e giustamente gli storici si soffermeranno sull’ultimo dettaglio per stabilire contiguità e distanze, ma qui si rimane fedeli al pensiero espresso da George Orwell in una lettera al direttore dello Strand nel ’47: «Non c’è molto da scegliere fra comunismo e fascismo, sebbene per varie ragioni sceglierei il comunismo, se non avessi alternative» – dove prevale il «se non avessi alternative». Probabilmente l’affermazione di Orwell sarebbe ricalibrata ma non rifiutata da qualche illuminato di Polonia, dove è vietata la ricostituzione del Partito comunista. E probabilmente proprio questo voleva dire la risoluzione: l’Europa non fa classifiche, l’Europa rifiuta le dittature, quelle peggiori e quelle meno peggiori, semmai esistessero, le rifiuta comunque e lo riafferma in tempi di stanchezza per la democrazia, di rivendicati illiberalismi, ed è su questo fondamentale punto che bisognerebbe concentrarsi, a cominciare dal perfezionamento e non dal rifiuto dell’asserzione. Sennò è soltanto una sterile e irritante riaffermazione di superiorità morale della sinistra sulla destra, totalmente inutile, fuori tempo, controproducente, cieca, cioè un’ulteriore frattura in un’Europa già diffusamente fratturata.
Allo stesso modo sarà stato ampiamente impreciso parlare di «stile di vita» e bizzarro affidarlo alla tutela di un commissario, ma la questione c’è, ed è serissima, e continua a esserlo nonostante sia diventata il cuore della propaganda della destra più nerboruta. Però l’Europa è il luogo – e qui si useranno le strepitose parole pronunciate da Benjamin Constant nel 1819 all’Athénée Royal di Parigi – in cui si afferma «il diritto di ciascuno di noi di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza rendere conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto (che preferisce)». Nemmeno qui sono valori condivisi, ma per fortuna continuano a essere predominanti. E in un tempo in cui si sono stabiliti o arrivano in Europa immigrati provenienti da mondi in cui le libertà personali, politiche e di culto non esistono o sono fiacche o aspirazioni minoritarie, in cui la parità fra uomo e donna talvolta non è nemmeno un’ambizione, in cui la legge di Dio continua a sovrastare quella degli uomini, perché sono mondi che non hanno avuto né l’Atene di Pericle né la Londra della Gloriosa Rivoluzione né la Parigi di Constant, ebbene, è dovere dell’Europa ricordare che qui si vive tutti secondo il risultato di un lungo processo che va da Pericle alla dichiarazione dei diritti umani del 1948. Senza essere minacciosi, senza suonare le sirene d’allarme (in Francia un matrimonio su quattro è misto, il meticciato è già fra di noi, e funziona più di quanto si creda), soltanto per dire chi siamo, che cosa ci aspettiamo, che cosa vogliamo costruire, che cosa è contrario agli ideali dei quali noi stessi spesso non siamo all’altezza.
A un obiettivo così elevato servirebbe un’altra dichiarazione dei diritti: servirebbe una Costituzione europea.