ItaliaOggi, 28 settembre 2019
Periscopio
Colpi di coda d’occhio all’accodato. Uffa News. Dino Basili. L’esame imposto ai veicoli di più di cinque anni e agli automobilisti di più di settant’anni conferma che l’uomo è più solido della macchina. Philippe Bouvard, Journal drôle et impertinent. J’ai lu, 1997.
Persino le aggressioni ai medici sono in aumento. Non c’è più rispetto, ognuno ritiene di poter ottenere con i pugni. Vittorino Andreoli, psichiatra (Alessandro Belardetti). Quotidiano Nazionale, QN.
Dalle sue pagine Aldous Huxley, ci invita a questo: a elevarci dalla «dissenteria quotidiana dell’effimero, vera rovina della nostra epoca. Gian Paolo Serino. Il Giornale.
La nostra bravissima Valeria Geraci indosserà anche i panni del nuovo ministro dei lavori pubblici Paolo De Micheli che assomiglia naturalmente e Peppa Pig. Basta metterle il naso da maialino. Antonio Ricci nel presentare la 32ma edizione di Striscia la notizia.
Con riserva di dedurre prove testimoniali e per interpello e di produrre documenti. Contrariis rejectis et salvis iuribus. Camilla Cederna, De Gustibus. Mondadori, 1986.
L’ospedale è, dovunque, ma, in particolare, in Israele, la chiave dell’integrazione perché in ospedale siamo nudi. È il luogo della sofferenza e dell’intimità. Già oggi medici arabi curano malati ebrei, e medici ebrei curano malati arabi. Abraham Yehoshua, scrittore israeliano (Aldo Cazzullo). Corsera.
Adesso è finita l’ideologia della globalizzazione, la talpa ha scavato il terreno sotto la cattedrale in cui sono stati posti i simboli dell’età nuova. Non è la fine del mondo, ma è la fine di un mondo come ha detto Barack Obama. La globalizzazione continua in termini diversi. Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia (Antonio Signorini). Il Giornale.
Berlusconi ha solo a cuore ormai la sua famiglia e le sue aziende e si diverte, in silenzio, nel vedere le numerose anime del suo partito giocare a rimpiattino. Forza Italia è ormai un Libano con milizie nel Nord, soprattutto in Lombardia e in Liguria, e truppe nel Sud, in particolare in Campania, Calabria e Sicilia, che si divorano tra loro a cena, a colpi di tweet e comparsate nei Tg, con voltafaccia e tradimenti continui. Luigi Bisignani. Il Tempo.
Weimar ieri e oggi, alle volte viene la tentazione di accostare quell’esperienza così catastrofica alla nostra. Posto che la storia non si ripete, avverto lo stesso tanfo. Negli anni Venti e Trenta furono in tanti a pensare che quel che accadde non era affar loro e si è visto come è andata. Oggi c’è la stessa ottusa chiusura davanti ai drammi internazionali: non è affar mio, dice tanta gente. Fulco Lanchester, costituzionalista (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Mia sorella Elisabetta era molto bellina; ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi mi graffiava. Per spaventarla la portavo in bicicletta al cimitero, ad ascoltare gli spiriti dei morti. Da grande pensavo di fare il generale, l’imperatore o il capo indiano. Mi feci una corona di penne, e una la regalai a Elisabetta. Vittorio Sgarbi, storico dell’arte (Aldo Cazzullo). Corsera.
Quando mi relegarono in un avamposto sperduto, a 19 anni, lessi Il giorno della civetta di Sciascia, e rimasi profondamente colpito quando i superiori fermano il coraggioso protagonista dicendogli: «Quando fai un’indagine non puoi affidarti all’immaginazione», e lui risponde: «Ma la Sicilia è un luogo immaginario, se ci vivi, come fai a non usare l’immaginazione»? Ecco, per me Israele è una luogo immaginario. Per intenderci: credo fermamente che la pace coi palestinesi sia possibile, ma non credo che risolverà tutti i problemi. Dav Alfon, romanziere israeliano, autore di Sarà una lunga notte (Giancarlo De Cataldo). la Repubblica.
Bordin è un cognome veneto perché la famiglia di mio padre era del Delta Padano, provincia di Rovigo, contadini, commercianti di granaglie, acqua e pianura: sono luoghi mitici della cultura italiana, gente senza ombra. Divenni trotskista prima ancora di diventare adulto. Massimo Bordin, che fu curatore della rassegna stampa di radio radicale (Francesco Merlo). il venerdì.
A 17 anni sono rimasta incinta. La mia famiglia non mi ha mai giudicato, piuttosto era il prete che non voleva sposarmi. Ma mio marito (Francesco Ferracini, ndr) voleva tentare la carriera di attore e la sera stessa delle nozze è partito per Roma. Così sono rimasta a vivere a casa dei miei, tre palazzi delle Ferrovie con 60 famiglie ciascuno: quando uscivo tutti si affacciavano. Ero uno scandalo. Mara Venier (Michela Proietti). Corsera.
Il Veneto, mi dice Federico Pendin, direttore della cooperativa Dieffe di Noventa Padovana, ha 600 mila piccole imprese. È un dato imponente, c’è un’operosità diffusa, una cultura del fare da sé. Nell’azienda piccola il dipendente tende a collaborare col padrone. C’è un aspetto fondamentale da capire: l’imprenditore veneto è uno che non rischia solo il capitale, rischia tutto se stesso. Per questo a volte chi fallisce si toglie la vita: è l’orgoglio. Facendo consulenza mi è capitata un’azienda di 18 dipendenti che avrebbe dovuto chiudere, il padrone non aveva cuore di dirlo. Ha convocato tutti e ha spiegato la situazione, avevano gli occhi lucidi, hanno rinunciato al tfr per andare avanti. Francesco Benati. Tempi.
Una delle primissime impressioni è stato un tramonto di settembre che mia madre mi ha fatto vedere, avevo 13 anni. Un`esperienza indimenticabile che mi aprì la porta sul mondo. Da quel momento ho cominciato a guardare, non solo a vedere. E ad ascoltare, per esempio il rumore dell’acqua, del lago. Mi pare anche di risentire il profumo del fieno secco, mi fa ancora venire i brividi. Andrea Vitali, romanziere (Luca Pavanel). Il Giornale.
L’impero, invece di arricchirci, ci costa una barca di soldi: strade da fare, villaggi da sistemare, la capitale Addis Abeba da ricostruire tutta intera; e intanto si è costretti a combattere una feroce guerriglia nella boscaglia, nei deserti, sulle montagne. Altro che caffè! Dall’Etiopia in sei mesi ne sono state sbarcate solo 90 tonnellate. Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.
Fuori, dal buio pesto dell’oscuramento bellico, saliva, ogni tanto il grido: «Luce!» rivolto a qualche finestra che lasciva trapelare un filo di chiarore. Nelle strade, i rari passanti avanzano preceduti dal piccolo cerchio luminoso della pila, e chi non l’aveva, avanzava rasente ai muri, scambiando doverosi «pardon», quando si scontrava con altri nelle sue condizioni. Guglielmo Zucconi, La divisa da Balilla. Edizioni Paoline, 1987.
Non c’è pettegolezzo senza l’intenzione di nuocere. Roberto Gervaso. Il Giornale.