ItaliaOggi, 28 settembre 2019
Diritto & Rovescio
Non so se è stato per ingordigia o per la necessità politica di cercare di tenere sotto controllo un partito che non è più formato da degli «uno uguale a uno», ma da vere e proprie prime donne. Sta di fatto che, avendo Di Maio chiesto la carica di ministro degli esteri (anche se lui avrebbe preferito continuare a fare il vicepremier) e avendo mantenuto anche la carica di responsabile del Movimento, adesso rischia di essere impallinato dai suoi, quando è impegnato in missioni all’estero. Cioè sempre. Lo si è visto chiaramente nella sua prima missione fuori casa in occasione dell’annuale Assemblea dell’Onu, a New York. C’è un vecchio proverbio contadino che piacerebbe a Pier Luigi Bersani, che dice: «Via i gatti, i topi ballano». Infatti appena Di Maio ha messo i piedi a Manhattan, a Roma è scoppiata la sarabanda. I grillini non riconfermati nel governo hanno menato la danza. Quelli che non hanno ottenuto i posti ai quali aspiravano sono saliti sui tavoli. Insomma, uno spettacolo indecoroso. Ma anche confortante. Perché dimostra che bastano 14 mesi di governo per trasformare i rivoluzionari in politici come tutti gli altri.