Corriere della Sera, 29 settembre 2019
Riassunto della rivolta di Hong Kong
«Cancellala», mi ha detto in malo modo una ragazza mascherata a cui avevo scattato una foto con il telefonino: «Voglio vedere mentre la elimini», ha preteso. Lei e il suo compagno, vestiti di nero, si preparavano a sfidare la polizia. Intorno, altri stavano indossando passamontagna e occhialoni affumicati.
Un grande striscione con la scritta «Siamo tornati» è appeso al ponte pedonale di Admiralty, davanti agli uffici del governo chiusi da reti metalliche e da pesanti barriere di plastica riempite d’acqua. Dietro ci sono i poliziotti con scudi e bastoni. La folla scandisce accuse e insulti agli agenti. Un manipolo di assaltatori mascherati balza verso la cancellata: il rumore degli scarponi sul ferro è come una scossa. È il segnale d’inizio dell’ennesimo sabato di scontri a Hong Kong, il diciassettesimo consecutivo.
Sono passati esattamente cinque anni da quel 28 settembre 2014 quando gli agenti usarono per la prima volta i lacrimogeni e i ragazzi aprirono gli ombrelli per proteggersi: ieri notte migliaia di cittadini sono tornati in piazza a Hong Kong per commemorare il giorno in cui cominciò la Rivoluzione degli Ombrelli. Ma ora la strategia è cambiata.
«Siamo tornati», ha ripetuto al mattino Joshua Wong, il volto più noto di quei 79 giorni di occupazione pacifica del centro. Aveva 17 anni allora Joshua, ha passato diversi mesi in carcere per manifestazione non autorizzata e oltraggio, ora in strada è stato scavalcato dal nuovo movimento «fluido come l’acqua», senza leader. Così ha cominciato a viaggiare, è andato a Berlino dov’è stato ricevuto dal ministro degli Esteri, a Washington dove il Congresso discute una legge per punire il governo di Hong Kong che fa gli interessi di Pechino erodendo le libertà della ex colonia britannica. E adesso Joshua Wong annuncia di essersi candidato come consigliere di quartiere alle elezioni di novembre. Sui manifesti si è fatto ritrarre in giacca blu e camicia bianca, a 22 anni è diventato un politico e davanti alla stampa che cerca sempre volti famosi dice: «È tempo che l’imperatore Xi Jinping si renda conto che qui ci battiamo, che siamo solidali, spalla a spalla, che siamo una voce sola».
Non è così. Mentre nel 2014 i giovani erano tutti d’accordo nell’evitare la violenza e montarono le loro tende da campeggio nelle strade della City, questa rivolta è mobile, inafferrabile come l’acqua e anche incattivita dalla disperazione. Cinque anni fa le maschere servivano per non respirare i lacrimogeni (che furono usati con moderazione dalla polizia), ora l’ala dura del movimento nasconde il volto per non farsi riconoscere ed evitare l’arresto. Stanno ai margini della manifestazione, pronti ad entrare in azione per la guerriglia urbana, bottiglie incendiarie e mattoni.
A poche decine di metri, nei prati del Tamar Park, più di diecimila persone sono sedute in modo ordinato e applaudono discorsi e musica, ascoltano in silenzio quando viene suonato «Glory to Hong Kong», l’inno della protesta democratica scritto da un musicista senza volto che si fa chiamare Thomas.
Che cosa pensano questi cittadini commossi dal loro inno di quelli che invece per l’ennesima notte si stanno battendo con la polizia? «Io non ho mai partecipato ai disordini», ci dice una giovane che sulla maglietta nera ha un Topolino ricamato. Ha il volto coperto anche lei «perché faccio l’analista finanziaria e non voglio perdere il lavoro». E allora, perché è qui con il rischio di finire nell’immancabile corpo a corpo? «Senza la violenza il governo ci avrebbe semplicemente ignorato e penso che quando gli scontri si fermeranno, ci sarà un’ondata di arresti e processi». Anche i pacifisti di questa rivolta simpatizzano con i duri, accomunati dalla disperazione.
Mi avvicino a uno di quelli che tira calci all’inferriata del palazzo governativo, gli chiedo che cosa stanno gridando in cantonese agli agenti. «Vigliacchi e assassini» (la leggenda metropolitana, da settimane, parla di un morto nascosto dalle forze dell’ordine). Si sentono urlare anche i poliziotti. Uno spruzzo sul viso: ero troppo vicino e ho preso in faccia una parte della risposta delle forze dell’ordine, spray urticante. Sono seguiti lacrimogeni e getti dai cannoni ad acqua. Prossimo appuntamento l’1 ottobre, festa della Repubblica cinese e contro-celebrazione a Hong Kong.