il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2019
Biografia di Edgar Allan Poe
N ei cieli dell’A m erica degli anni ’40 del Novecento, preoccupata di costruire sé stessa e di accrescersi nel denaro e nella materia verticale, compare una meteora luminosissima che brucia l’a t m osfera, ignorata dai nativi. Se ne accorgono alcuni francesi, da ll ’altra parte dell’O ce an o: Baudelaire, Claudel, Mallarmé, Valéry. Sono tutti poeti, tutti dotati di cervello bollente e antenne sensibilissime che reagiscono urtate dall’impatto con quella strana creatura minerale. La stella è Edgar Allan Poe, un redattore di scarse fortune per periodici letterari, un orfano che ha tentato la carriera militare e si è messo a fare il poeta e lo scrittore di strani racconti perturbanti. OGGI ADELPHI pubblica i suoi Marginalia, critiche letterarie e brevi saggi (qui tradotti da Cristiana Mennella) scritti da Poe per le riviste di Boston e dintorni tra il 1844 e il ’49, l’an – no della morte per d e l i ri u m tremens. Ricorda Ottavio Fatica nella bella postfazione che il primo ad accorgersi della nuova alba rischiarata dal fenomeno Poe fu lo scrittore francese Julien Gracq, che di lui disse: “Le vibrazioni tipiche di Poe sono emesse in una specie d’infra – rosso o di ultravioletto di quella lingua – impercettibili agli indigeni, percepite soltanto da occhi selvaggi, meno esercitati ma più penetranti –come l’animale capta suoni emessi da strumenti che abbiamo fabbricato noi eppure per noi inafferrabili”. “Quell’uomo ha il diavolo in corpo”, commentò invece Dickens dopo averlo incontrato a Philadelphia. Quelli dei Marginalia sono gli anni in cui Baudelaire, nel suo esilio doloroso a Bruxelles, legge solo Poe, l’unica creatura che senta simile a sé: orfano dall’età di tre anni, ipocondriaco, costretto dalla famiglia adottiva a studiare Legge, Poe, come lui, veste sempre di nero, con camicie abbottonate fino al collo. Come lui ama i gatti ed è attratto e terrorizzato dalla folla. Questi scritti sembrano – per logica, lucidità e rigore – usciti da un goniometro. Sono meccanismi di precisione maniacale e anticonformismo, giudizi che cadevano presso “una popolazione stragonfia di millanteria” (Fatica), una società smascherata nella sua boria dalla furia di pulizia di Poe (il poeta William Carlos Williams parlò di un’opera di “self-purification”, un metodo per separarsi “dalla patina sporca dell’uso comune”). Tanto più se si paragonano questi scritti ai racconti di Poe, che secondo André Suarès erano frutto di “un démi-génie, intelligenza pura e ragione malata”. Così scrive Poe sul Godey’s L ad y’s Book nel settembre 1845: “Le parole –quelle stampate specialmente –sono letali. Tant’è che Keats morì (o non morì) per via d’una critica”. È il demone della perversità del suo omonimo racconto a fare di Poe un critico febbrile, un chirurgo spirituale che “pu li s ce” persino Voltaire, Dante, Seneca. “Vi sono momenti in cui, persino al freddo occhio della ragione, il mondo della nostra triste umanità non può che assumere le sembianze dell’Inferno; ma la tetra legione dei terrori sepolcrali non può ritenersi tutta opera della fantasia; essi invece, come i demoni, non vanno risvegliati o ci divoreranno – non vanno destati dal loro torpore o periremo”. LA PIÙ BELLA biografia di Poe in italiano è quella di Pierangelo Baratono, scritta nei primi anni ’20 e edita dall’editore Formiggini. È un’elegia tutta in bianco e nero: bianca quando vola sull’infanzia e la giovinezza difficile di Poe; nera, quando coincide con l’incep – pamento della vita dello scrittore immaginifico, riproducendone la spezzatura, il tremito che lo condurrà alla morte nei bassifondi di Baltimora. “Brevi sprazzi di fortuna illuminano le ombre tetre di quegli anni di vagabondaggio allucinato. Un manuale di conchigliologia, raffazzonato per trarne un po’ di guadagno, ottiene un esito editoriale che nessun libro di Poe avrà, lui vive nt e”. Nonostante le promesse del cielo e dell’amore (sposò l’amata cugina 13enne, che morì giovanissima), Poe era tormentato da foschi presagi. “Parlava di sé come di un’anima perduta, senza speranza di redenzione”. E di sé scrisse, rabbrividendo: “La mia tristezza è inesplicabile”. “Fu senza volerlo e senza saperlo”, scrive Baratono, “per una feroce ironia del destino, l’uomo più rappresentativo di quella medesima folla da cui era ignorato o spregiato”. I meno astiosi lo chiamavano “scelle – rato di talento”, “sc an da lo so mostro del mondo letterario”, “maiale di genio”. Per Henry James era “un autore che non si può proprio leggere”. Resta l’immagine che secondo Williams lo riassume meglio, quella “di un fiore nel deserto, le radici sotto la sabbia del suo tempo”. © RIPRODUZION