il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2019
Bertolucci che gioca a pallone contro Pasolini
“P» FEDERICO PONTIGGIA asolini era incazzato da morire. Penso fu una delle cose più brutte della sua vita, quella partita, e infatti non ne parlava mai”. Non che ebbe tanto tempo per farlo: neanche otto mesi, tra quel 16 marzo alla Cittadella di Parma e il 2 novembre all’Idroscalo di Ostia. 1975, Pier Paolo Pasolini ha 53 anni, muore dietro una porta da calcio, fuori dal gioco della vita, ancora dentro una passione: “Un bravo calciatore”, risponde due anni prima al ‘che cosa le sarebbe piaciuto diventare?’ di Enzo Biagi. “Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri”. LA DECLINAZIONE è rossoblu, l’idolo Biavati e il doppio passo che proverà a imitare con successo, la denominazione d’origine i Prati di Caprara, “i pomeriggi che (ci) ho passato a giocare a pallone sono stati indubbiamente i più belli della mia vita”. I colori del Bologna se li tiene addosso anche in trasferta, in quella domenica di primavera sottratta alla provincia e riguadagnata al mito: “Sarà una partita epica, leggendaria nei racconti della gente di cinema che vi partecipò, ma praticamente sconosciuta al p ub bl i co”, osserva il regista Alessandro Scillitani. Partita larger than life, già numericamente: non si affrontano i canonici undici contro undici, bensì Centoventi contro Novecento. Uno scazzo –lo scarso apprezzamento di PPP per Ultimo tango, vai a sapere – val bene una partitella riparatoria, anzi, la madre di tutte le partite: la rappresentativa della troupe di Salò o le centoventi giornate di Sodomadi Pier Paolo Pasolini affronta l’omologa di N ov ec en to di Bernardo Bertolucci. I set sono vicini, l’amicizia tra PPP e BB antica, la pasoliniana – e fascista nell’affresco di Bernardo –Laura Betti apparecchia la singolar tenzone: Centoventi contro Novecento, l’icastico titolo del documentario di Scillitani, scritto da Alessandro Di Nuzzo “ri costruendo minuziosamente la storia di quella domenica e la memoria ancora viva dei protagonisti”. Un film ricchissimo, quello “dei capelloni”, IL DOC “Centoventi contro Novecento”: era il 16 marzo 1975 campo non direbbero, giacché PPP “sembra Maradona” e la sua compagine “il Brasile”, ma Centoventi contro Novecento non raddrizza le sproporzioni oltre il due a cinque goal. Pasolini esce per infortunio –intenzionale entrata omicida di un armadio chiamato Barone – e subito i bertolucciani recuperano i due gol di svantaggio: l’arbi – tro del secondo tempo è di Sa – lò, ma la prospettiva di lavorare con i “ricchi” alletta, sicché fischia due rigori inesistenti per il team di Novecen – to. C’è di più: l’animus pugnandi che i parmensi rivendicano viene rinforzato alla bisogna con qualche elemento professionistico, non troupe cinematografica, ma giol’altro povero, “con i ragazzi di strada”, l’utopia di BB, tesa “a ll ’emancipazione dell’u omo” e rischiarata dal “sol dell’avvenire”, e la distopia di PPP, concentrazionaria e sadiana: le due anime del secolo breve a rincorrere il pallone e cercare il goal. Così lontani, così vicini, Bernardo e Pier Paolo: il primo osserva dalla panchina, si ritaglia il ruolo dell’allenatore e fa tagliare alla costumista Gitt Magrini casacche viola con banda gialla “novecentesca” e, addirittura, calzini arcobaleno psichedelici per disorientare l’a v v e r s ario; il secondo tiene fede a se stesso, che a Parma come a Bologna, la borgata Donna Olimpia e Ciampino in campo ritorna bambino, che per qualcuno giocava “ala sinistra e correva sempre”, per altri “ala destra ed era una farfalla”, per tutti “anche due contro due voleva vincere”. Triste solitario y final so l o all’Idroscalo, prima nel calcio, da lui inteso quale “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo: è rito nel fondo, anche se evasione”, Pasolini si trasfigura, il suo volto abitualmente atteggiato a “pugno si fa carezza”. EPPURE,il 16 marzo 1975 non basta per vincere: i valori in vanili calcistiche. Tre, quattro virgulti di talento per volgere a proprio favore le sorti dell’incontro, e tra questi –udite, udite – più di qualcuno annovera Carlo Ancelotti, all’epoca quindicenne del Parma: che l’attuale allenatore del Napoli, già centrocampista sopraffino Roma e Milan, sia stato l’uomo in più per Bertolucci, e in meno per Pasolini, be’, bella storia. Presente o meno in quella Cittadella agonistica, Carletto non bevve dalla coppa dei vincitori: Bertolucci la fece riempire di Dom Perignon e la offrì ai vinti. Molti dei Cento – v en ti declinarono l’of f er ta, “il rosicamento era general e”. Ma la torta, quella sì, la mangiarono tutti, con le mani, a centrocampo. Anche Pasolini: era il 16 marzo del 1975, era il trentaquattresimo compleanno del suo amico Bertolucci. @fpontiggia1 ©