Il Messaggero, 28 settembre 2019
La storia di Scotland Yard
Centonovanta anni fa, in una fredda giornata londinese, mille poliziotti in marsina blu, pantaloni grigi e cilindro nero sfilarono per le vie della capitale diretti alla nuova stazione di servizio. Era l’inizio di una leggenda che ancora oggi si perpetua con il nome di Scotland Yard.
Fino a quel 1829 Londra e la Gran Bretagna non avevano avuto un vero e proprio corpo di polizia. La patria delle libertà civili vedeva con sospetto qualsiasi tipo di autorità, e affidava le indagini criminali ai più bizzarri personaggi privati: i Common informers, (cioè i delatori), i Thief takers (catturatori di ladri) e persino i Runners, ex galeotti, spioni e agenti provocatori che si infiltravano tra le cosche e sventavano colpi, ovvero ne recuperavano i bottini. Tutta questa gente di dubbia affidabilità veniva compensata con taglie pubbliche o con la percentuale delle refurtive riconsegnate. Naturalmente la delinquenza prosperava. Nel 1828 Londra annoverava un criminale ogni 822 abitanti, e circa trentamila persone vivevano esclusivamente di furti e di rapine. Fu in quel gigantesco bailamme che Robert Peel, ministro dell’Interno, decise di creare una polizia unificata, senza immaginare che un giorno sarebbe diventata l’icona collettiva delle indagini giudiziarie.
IL PRECEDENTEPeel potè giovarsi di un illustre precedente, la Sûreté parigina fondata due decenni prima da Eugène-François Vidocq, un ex forzato che aveva illustrato alle autorità francesi un concetto elementare: che solo uno scassinatore poteva costruire casseforti sicure, e solo un delinquente professionista poteva combattere la delinquenza professionale. Il consiglio fu accolto e i risultati furono straordinari: Vidocq riportò rapidamente l’ordine e la legalità in una città devastata da bande di ladri e rapinatori. Il successo fu tale che Vidocq ispirò a Balzac la figura di Vautrin-Collin, il nerboruto evaso, protagonista di vari romanzi della Comédie humaine, che protegge Eugene de Rastignac, viene riconosciuto e riportato al bagno penale, evade e conclude con il Ministro un vantaggioso contratto di collaborazione. Nei successivi decenni, Vidocq sarebbe stato celebrato in vari romanzi, film e sceneggiati televisivi. Ma la sua Sûreté non eguagliò mai la fama della più giovane Scotland Yard.
Quest’ultima si giovò di molti fattori concomitanti: l’indiscussa abilità dei suoi investigatori, l’utilizzo delle più moderne tecniche scientifiche, i progressi nella tossicologia, nella balistica, nella chimica e nella patologia forense, dove Bernard Spilsbury fu maestro indiscusso di medicina legale. Fu lui a procurare a Ewen Montagu il cadavere di un poveretto morto di polmonite, che il Servizio Segreto Inglese, nel 1943, rivestì di una divisa da aviatore, abbandonandolo al largo delle coste di Huelva, con una valigetta contente i piani fasulli dell’invasione della Grecia. I tedeschi lo credettero annegato, lessero i documenti riservati, caddero nella trappola e spostarono varie divisioni dalla Sicilia dove gli Alleati sbarcarono quasi indisturbati.
LA FAMAMa Scotland Yard trasse fama anche dalla serie di delitti commessi nelle notti brumose della Londra autunnale. Un’atmosfera che ispirò migliaia di racconti dell’orrore, letti tranquillamente da mezzo mondo accanto al focolare, in quello stato d’animo che i francesi chiamano «la volupté de la peur sans le danger»: il piacere del brivido lontani dal pericolo. Fu così che Scotland Yard, con le sue torrette di mattoni vicino al Tamigi divenne sintomo di delitti atroci e di intrepidi investigatori.
C’era molto di vero in questa fama di abilità. Tuttavia, malgrado l’efficienza della sua polizia, i crimini a Londra, benché diminuiti di numero, aumentarono in crudeltà. Per quasi un secolo la Capitale assistette, più di ogni altra metropoli, alle imprese di serial killer di perversioni inimmaginabili e di fantasie sfrenate, le cui gesta sono ricordate in quello che è forse il ricettacolo più importante al mondo di reperti criminali: il famosissimo Crime Museum, meglio noto come Il Museo Nero di Scotland Yard. Non è generalmente aperto al pubblico, e questo aumenta il suo mistero, che ispirò a Orson Welles una serie di trasmissioni che ipnotizzarono i radioascoltatori americani negli anni 50. Il Museo infatti custodisce le prove e i residui dei più agghiaccianti delitti. Il documento più inquietante è una lettera attribuita a Jack lo squartatore, l’ignoto killer che, favorito dalla inquinata nebbia londinese di fine 800, tagliò le viscere di numerose prostitute nell’equivoco quartiere di Whitechapel. Nella lettera esibita in bacheca, The ripper deride i metodi della polizia, e la sfida promettendo nuovi delitti. In fondo gli andò bene perché non fu mai scoperto. Ma vi sono anche altre sadiche amenità: il pigiama della moglie di Ronald Christie, uccisa dal marito (come altre sette persone), e sepolta sotto il pavimento di casa; o i resti organici dei poveretti che John Haig dissolse nell’acido dopo averne falsificato la firma per impossessarsi dei beni; fino alle pentole dove Dennis Nilsen, impenitente necrofilo, bollì i corpi della dozzina di omosessuali che aveva macellato, eccitandosi davanti ai loro cadaveri in decomposizione. Nilsen, in questo catalogo di brave persone, fu l’unico a evitare il patibolo, perché il Regno Unito aveva abolito la pena capitale: detenuto a vita, è morto l’anno scorso.
IL DISSIDENTEPer chi abbia la possibilità di accedervi, l’esposizione del Museo Nero continua con una serie di maschere mortuarie di giustiziati, arnesi di tortura e attrezzi di scasso, fino alle armi dissimulate nei modi più ingegnosi, come l’ombrello con la punta avvelenata con il quale fu eliminato il dissidente bulgaro Georgy Markov mentre attraversava Waterloo bridge il 7 settembre 1978.
Strano a dirsi, gli scrittori di gialli hanno spesso strapazzato questa capace istituzione. Sir Arthur Conan Doyle trattò il povero ispettore Lestrade come una innocua macchietta umiliata dal genio di Sherlock Holmes. Nei libri (e nei film) di Agatha Christie i più preparati investigatori infilano sempre la pista sbagliata, e soltanto le potenti cellule grigie di Poirot o le quiete riflessioni di miss Marple smascherano alla fine i veri colpevoli, evitando il patibolo a innocenti sospettati. Eppure, nonostante i ripetuti abbagli del simpatico ispettore Japp e dei suoi colleghi, alla fine il prestigio di Scotland Yard esce miracolosamente integro anche nella letteratura poliziesca. Il lettore infatti percepisce che mentre le intuizioni dell’eccentrico Sherlock Holmes, del geniale Hercule Poirot e dell’amabile zitella Jane Marple, sono virtuosismi letterari, il rigore investigativo dei poliziotti costituisce una solida tutela per la l’incolumità del suddito di Sua Maestà. Che ancora oggi identifica in Scotland Yard la garanzia della sicurezza nel pieno rispetto delle libertà individuali.