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 2019  settembre 28 Sabato calendario

Intervista sulle anguille

«Ho 46 anni e questo è il mio primo libro. Ho sempre sognato di scriverne uno ma non avevo mai trovato il coraggio di farlo. Non so perché ci ho messo così tanto: un po’ il lavoro e la famiglia, un po’ l’insicurezza. Poi ho capito che volevo davvero raccontare questa storia e mi sono detto: devi provarci». La biografia di Patrik Svensson potrebbe essere un capitolo del suo Nel segno dell’anguilla, quando si avventura sui temi dell’antropomorfismo: come un’anguilla ha vissuto per decenni in un angolino appartato per poi abbandonare bruscamente «la sua esistenza fatta di attesa». Oggi il riservato giornalista culturale del quotidiano Sydsvenskan di Malmö è un caso letterario e il suo libro, uscito un mese fa in Svezia, ha conquistato l’ultima London Book Fair ed è pronto per essere tradotto in 32 Paesi.
Il pesce che ha sfamato i padri pellegrini le sta portando fortuna. Come è nata la sua passione per le anguille?
«L’interesse per le anguille è nato quando ero bambino e andavo a pescarle di notte insieme a mio padre. Passavamo le ore in silenzio aspettando che abboccassero. Lui mi raccontava la storia del Mar dei Sargassi e dell’incredibile viaggio che fanno tutte le anguille come se fosse una fiaba. Crescendo ho iniziato a leggere sempre più libri scientifici sulle anguille e a scoprire un sacco di episodi incredibili. La storia è piena di personaggi che si sono interrogati sull’origine e sulla vita di questi animali: Aristotele, Freud, l’esploratore danese Johannes Schmidt. Per me la cosa più importante, nel raccontare questo pesce straordinario, è aiutare le persone a imparare più cose sulle anguille ma anche sulla scienza, sulla natura e più in generale sulla conoscenza umana».
L’anguilla è un simbolo di ciò che è misterioso. Sbaglio o lei suggerisce che l’uomo deve in qualche modo coltivare e nutrire il senso del mistero?
«Sì, esattamente. Non dobbiamo aver paura delle cose che non conosciamo. Abbiamo bisogno dei misteri per nutrire il nostro desiderio di conoscenza. Se parli dell’oceano parli di qualcosa di esistenziale: significa confrontarsi con il fatto che noi esseri umani siamo piccoli e che ci sono tantissime cose che non sappiamo o non possiamo fare. L’oceano è un mistero e le anguille sono parte di quel mistero».
Il libro descrive anche la relazione fra un padre e un figlio. Qual è la cosa più importante in questo rapporto?
«Io ho due figli maschi ma non voglio certo dare lezioni di paternità a nessuno. Nel libro racconto che io e mio padre andavamo a pescare insieme. La pesca era la cosa che avevamo in comune e che ci univa, ma credo possa valere lo stesso per il calcio o per qualunque altra attività. L’importante è avere qualcosa da fare insieme e, soprattutto, esserci».
Quali sono gli autori su cui si è formato? Cosa le piace leggere?
«Ho studiato lingua e letteratura e i libri fanno da sempre parte della mia vita. Ho amato molto la biologa americana Rachel Carson, che aveva una capacità straordinaria di raccontare la natura e usando una lingua meravigliosa. Trasformava la scienza in letteratura e poesia ed è stata di grande ispirazione per me. Fra gli italiani ho apprezzato molto i libri di Elena Ferrante e Silvia Avallone. Amo la bella scrittura e le storie interessanti e in generale leggo gli autori che riescono a unire questi due aspetti».
Nel suo lavoro scrive che tutti gli animali sono figli del mare e che gli uomini sono esseri «salini». Cosa significa?
«Tutti gli esseri viventi vengono dal mare e si portano sempre dentro qualcosa di marittimo. Il mare è l’origine di tutto e un giorno tutto tornerà al mare. Mi piace pensare che gli uomini, come le anguille, abbiamo un’origine misteriosa. C’è qualcosa di molto bello in questa immagine».
Qual è l’aspetto più affascinante della vita delle anguille?
«Tutti sanno che le anguille si riproducono nel Mar dei Sargassi ma nessuno ha mai trovato un’anguilla adulta, viva o morta, nel Mar dei Sargassi. Questo ci dice molto della conoscenza umana. Come sappiamo le cose che sappiamo? Sappiamo che Schmidt ha navigato nell’Atlantico per 20 anni raccogliendo larve d’anguilla sempre più piccole man mano che si avvicinava al Mar dei Sargassi. D’altra parte, però, non possiamo essere sicuri che davvero le anguille si riproducano lì perché nessuno le ha mai viste. Credo ci sia una linea sottilissima fra il conoscere e il credere. L’anguilla è un pesce metafisico».
In che senso?
«La metafisica è ciò che sta dietro quello che vediamo e conosciamo. Il viaggio nel Mar dei Sargassi e tutto ciò che non conosciamo dell’anguilla lo rendono un animale metafisico».
Cosa possiamo imparare noi uomini dalle anguille?
«Il viaggio dal Mar dei Sargassi all’Europa e la vita solitaria dell’anguilla assomigliano in qualche modo alla nostra esistenza, al nostro sforzo di trovare il nostro posto nel mondo. A un certo punto, però, c’è una forza che ci richiama alle nostre origini, che per le anguille è il Mar dei Sargassi. Anche gli esseri umani devono tornare da dove sono venuti, capire fino in fondo chi sono e perché sono fatti in un certo modo».
In un capitolo ipotizza che il concetto freudiano «Das Unheimliche» (il perturbante) abbia cominciato a prendere forma mentre il padre della psicanalisi si trovava a Trieste a studiare le anguille. È così?
«Non ci sono certezze ma sembra che le settimane trascorse sulla riva dell’Adriatico abbiano influenzato, negli anni successivi, gli studi di Freud sulla psicologia umana. Leggendo le pagine che ha scritto sulla ricerca degli organi sessuali delle anguille ci sono dei parallelismi, interessanti e anche parecchio divertenti, con i suoi lavori sulla sessualità nascosta degli esseri umani».
«Ålevangeliet» (Il vangelo delle anguille) nel titolo originale svedese, affronta il tema da tanti punti di vista: biologia, filosofia, antropologia, psicologia, ricordi personali. Come ha lavorato a un’opera così sfaccettata?
«Tutto è nato con l’idea di scrivere un libro scientifico divulgativo sulle anguille e anche dal desiderio di raccontare il rapporto con mio padre. Le due storie, il mistero sull’origine delle anguille e quello della mia personale origine famigliare, sono un po’ come due specchi che si guardano. Ho tentato di immaginare due storie in parallelo che in realtà son un’unica grande storia sulla condizione umana».
Nelle ultime pagine spiega molto bene che le anguille sono una specie in via di estinzione. Cosa stiamo rischiando di perdere? Cosa possiamo fare?
«La popolazione delle anguille in 40 anni è diminuita del 95%. È un problema molto serio. Credo che per salvare le anguille la prima cosa da fare sia farle conoscere alla gente. Se uno conosce la storia delle anguille il suo interesse e la sua simpatia per questi animali crescerà e sarà più facile anche intraprendere azioni concrete. Penso all’uso dei pesticidi, alla tutela dei corsi d’acqua e ai cambiamenti climatici».
Poche settimane fa è uscita una ricerca della Otago University dove si ipotizza che il famigerato mostro di Loch Ness in realtà fosse un’anguilla gigante. Cosa ne pensa?
«Non ho ancora avuto tempo di leggere il report integrale ma da quanto ho capito la ricerca afferma soltanto che a Loch Ness è stato trovato molto Dna di anguille. Non mi stupisce. Ma credo che Nessie, con le anguille, con la scienza e con i misteri, abbia ben poco da spartire». —