La Stampa, 28 settembre 2019
Intervista a Sebastian Schwarz
Completo bluette, camicia a fiori e papillon bordeaux, occhiali tondi alla Elton John, Sebastian Schwarz guarda dritto dentro l’obiettivo e allo spettatore dà del tu: «La lirica è passione, ogni sera puoi vivere la magia della musica, delle immagini e delle parole... – il suo italiano è impeccabile, l’accento tedesco perentorio – Ti piacerà assistere alle opere più amate, ma anche scoprire i titoli meno noti: passa un anno con noi». Persuasivo come un moderno Zio Sam, estroso ma non eccessivo, brillante ma non banale, il nuovo Sovrintendente del Teatro Regio di Torino ha appena auto-prodotto un mini spot per presentare la nuova stagione. Classe 1974, padroneggia i tempi dei social, i linguaggi dell’era 4.0 anche per parlare di cavallerie rusticane e matrimoni segreti, di puritani e cavalieri della rosa.
Tanta modernità in un mondo così classico: come si conciliano?
«Bisogna riuscire a far coesistere i mondi. Il nostro lavoro non è solo intrattenimento, ma non dobbiamo sottovalutarne la necessità. Sta a noi trovare i modi giusti per comunicare in maniera efficace. Ammettiamolo: con luci basse, poltrone comode e una giornata di lavoro alle spalle, è naturale che dopo 10 minuti ci si possa assopire, ma ci sono tante soluzioni per risvegliare l’attenzione e la passione. Scoprire quali sono le migliori per il pubblico di Torino sarà la mia sfida».
Però ci sono anche tanti titoli oggettivamente di nicchia: come superare l’ostacolo?
«Anche per i più difficili si può intervenire. Quando ero sovrintendente e direttore artistico a Glyndebourne ho voluto rappresentare una nuova produzione dell’Hipermestra di Francesco Cavalli. Un’opera persino difficile da pronunciare, specie in inglese: salvo che in un piccolo festival barocco in Olanda, non veniva eseguita da 359 anni. Ma era un mio sogno, ci credevo. È chiaro, tuttavia, che mi sono posto il problema: chi comprerà mai i biglietti per Hipermestra? Allora abbiamo creato un cartone animato con una semplice spiegazione della trama e un brano di sottofondo e l’abbiamo messo sul nostro sito e sui social».
Risultato?
«Siamo riusciti a far capire alla gente perché era un’opera così valida e meritevole. E soprattutto abbiamo raggiunto tantissimi ragazzi. É stato uno dei miei più grandi successi».
Anche per il Regio ha in mente libretti dimenticati ?
«Per il Regio la priorità è mettere in piedi l’attuale stagione, ci sono ancora alcuni contratti da chiudere. Sono arrivato soltanto ad agosto, quindi ho ereditato il cartellone da chi mi ha preceduto».
Ma per il 2020-2021 non c’è ancora nulla di programmato e lei, oltre che sovrintendente, è direttore artistico...
«È quello che mi dicono tutti: “Hai carta bianca, quindi puoi fare quello che vuoi”. Da un lato è così, elettrizzante, però attenzione: posso avere progetti grandiosi, ma non è detto che i registi, i cantanti, i direttori perfetti per il ruolo, tra un anno siano disponibili, dunque dovrò decidere tra usare gli artisti liberi in quel momento, rischiando di allontanarmi così dal mio progetto, oppure aspettare per rimanergli fedele. In sintesi, posso permettermi di assecondare un mio gusto o devo imporlo? Credo che il giusto atteggiamento sia mettersi davvero in ascolto, di gusti e bisogni del pubblico. Chiedersi: Torino cosa vuole ascoltare?»
Quindi tra sé stesso e il pubblico, alla fine sarebbe quest’ultimo a prevalere...
«Sì. In fondo, se io non dovessi mai più portare sul palco, per ipotesi, il Rigoletto, me ne farei una ragione: ci sono quasi 6000 altre opere al mondo, però se sapessi che a Torino il Rigoletto manca da troppo tempo, allora lo proporrei, subito. Come è capitato proprio a Glyndebourne: lo aspettavano dal 1934 e l’anno scorso l’ho messo in cartellone».
Beh, con i titoli più famosi Torino non corre il rischio...
«Quelli sono stati inseriti praticamente tutti nell’arco delle ultime due stagioni, Carmen, Bohème, Madama Butterfly, Trovatore, Traviata, Turandot... Ma ciò non toglie che si possano presentare con un’estetica diversa, innovativa. Penso ci voglia un po’ tutto, il Nabucco tradizionale accanto all’opera fresca e sorprendente».
Ha già in mente qualcosa?
«A Torino capiterà proprio a gennaio, per caso. Quando ci siamo accorti infatti che l’allestimento del Flauto Magico non era più disponibile abbiamo pensato che poteva essere, paradossalmente, una grande opportunità. E così al suo posto, dal 15 gennaio, avremo il Matrimonio Segreto di Cimarosa, allestito dal grande Pier Luigi Pizzi. Ma è un allestimento nuovo, fresco, colorato e si alternerà con un’altra opera, Violanta, sempre con la regia di Pizzi ma molto più classica, ambientata nel 500, durante il carnevale di Venezia. Ecco allora che le due estetiche, per altro frutto dell’estro dello stesso autore, saranno a confronto. È anche un bel modo di festeggiare i 90 anni di Pizzi».
Il suo italiano è perfetto. Dove l’ha studiato?
«L’ho imparato con la lirica, infatti all’inizio parlavo come il Conte delle Nozze di Figaro. In realtà, dopo il tedesco, è il russo la lingua che so meglio».
Si sta ambientando a Torino?
«Sì, molto bene. Io sono nato a Rostock, al Nord, vicino al Baltico, nell’ex Germania Est: di Torino conoscevo proprio La Stampa, ricordo le rassegne con questo nome di cui amavo il suono. Comunque, starò ancora meglio quando arriverà, a breve, il mio cane Leo».
Lei è un appassionato apicoltore, produrrà miele in città?
«Perché no, sarebbe bello portare le api sul tetto del Regio». —