La Stampa, 28 settembre 2019
Massimiliano Gallo
Roma
Senza barriere tra cinema, tv e teatro, senza tabù, perché con i testi dei grandi, come Eduardo De Filippo, si è destreggiato fin da ragazzo, senza smettere mai di recitare. Massimiliano Gallo, classe 1968, figlio del cantante e attore Nunzio, ha gettato le basi di una carriera solida che adesso è diventata scintillante, piena di applausi, di premi, di sfide coraggiose: «Non ho frequentato scuole, ma dalle mie origini familiari ho ereditato soprattutto due cose, la formazione vecchia maniera, quella che si costruiva con i grandi capicomici, e poi l’idea che lo spettacolo venga prima di ogni cosa. Sono andato in scena anche quando mio padre è morto, ero in teatro con Vincenzo Salemme, la mattina sono stato al funerale a Napoli e la sera ero a Roma, in tempo per la replica. Faccio questo mestiere dall’87 e non ho mai saltato un giorno di lavoro, neanche con 40 di febbre».
Anche per questo ha accettato senza incertezze di lanciarsi nell’avventura del Sindaco del Rione Sanità, il film che Mario Martone ha tratto dalla sua messa in scena della commedia di De Filippo: «Ci siamo divertiti a rileggere il testo, scoprendone aspetti che prima non avevamo colto, forse perché il magnetismo di Eduardo finiva per penalizzare gli altri interpreti. È stato curioso, certe battute ci sono sembrate nuove».
Nel film, che dopo l’anteprima in gara alla Mostra di Venezia arriva da lunedì per tre giorni nei cinema, Gallo è Arturo Santaniello, l’antagonista del Sindaco Antonio Barracane, interpretato da Francesco Di Leva: «Più che cattivo, Santaniello risulta antipatico e, a pensarci bene, ha tutte le ragioni per assumere un atteggiamento poco empatico nei confronti del protagonista. A differenza degli altri personaggi, Santaniello non subisce la fascinazione di Barracane, anzi, nei suoi confronti è intransigente, non capisce perché il Sindaco debba mettere il naso nei fatti suoi».
Per un attore napoletano il mito Eduardo può diventare un ostacolo: «Ho già affrontato a 27 anni cose da far tremare le vene ai polsi, ho fatto Non ti pago e subito dopo Natale in casa Cupiello. Soprattutto in quest’ultimo spettacolo ebbi la netta percezione di aver toccato qualcosa di sacro. Io, però, sono convinto che i testi teatrali debbano essere rappresentati, il teatro non è un libro, ma un copione, recitato da attori a un pubblico che ha tutta la libertà di gradire oppure no. L’importante è che le cose vengano fatte con onestà».
Una condizione che, nel caso di Massimiliano Gallo, è scontata: «Il teatro è casa mia, e sono convinto che ogni attore farebbe bene a lavorare 3 o 4 mesi all’anno in palcoscenico. La divisione degli ambiti, tra cinema, teatro, tv, è un equivoco tutto italiano, basta guardare il modo in cui si lavora in Gran Bretagna». Allo stesso modo si possono amare contemporaneamente due città: «Napoli per me è un luogo dell’anima. Dopo 20 anni di vita vissuta a Roma, ci sono tornato e ho capito che l’energia e i valori di questa città sono straordinari. Napoli ha la capacità di generare continuamente talenti, forse proprio perché è piena di contraddizioni».
A Natale Massimiliano Gallo sarà sul grande schermo, nel Pinocchio di Matteo Garrone, alle prese con il doppio ruolo del Corvo e del direttore del Circo: «Lavorare con Matteo è stato un viaggio nuovo. Un’esperienza formativa. Con lui non si fanno prove, sul set non dà mai lo stop, vuole vedere che cosa succede, punta sull’energia che si sprigiona in quel momento. E poi ha una cura incredibile dell’immagine, ogni sua inquadratura potrebbe essere un quadro».
Intanto, su Rai 1, Gallo è il marito, casalingo e accomodante, del Sostituto Procuratore Imma Tataranni. Un esempio di equilibrio fuori dagli schemi: «Nel personaggio, almeno in parte, mi ritrovo. Sono teatrante, abituato a sbrigarmela da solo, se stessi con una giornalista come lei non sarei quello che, quando le capita di tardare, se ne sta lì ad aspettare senza far nulla. Di una cosa, però, sono convinto. Da quando hanno guadagnato la parità fra i sessi, le donne, oltre a dover dimostrare di essere più brave degli uomini, continuano a occuparsi di casa e figli. Insomma, si trovano costrette a fare tre lavori invece di uno».