la Repubblica, 28 settembre 2019
Intervista a Hermann Tilke, archistar della formula 1
SOCHI – Da ragazzo prendeva di nascosto la macchina di sua madre per fare gare su strada («Era una Volkswagen Scirocco, lei non lo sapeva»), faceva il pilota in competizioni europee e nel frattempo studiava ingegneria civile. «Avevo circa 18 anni, non abbastanza tempo per fare tutto, aprii un mio studio nella cucina di casa: la tavola dove mangiavamo diventava il tavolo per i miei primi lavori». 46 anni, e 76 progetti circa dopo, è diventato Hermann Tilke, l’archistar delle piste di F1. Uno studio da 250 persone in Germania, ad Aachen, compreso il figlio Carsten, 32 anni, ingegnere anche lui. Si definisce «cittadino del mondo», guarda una delle sue ultime creature, l’autodromo costruito all’interno del parco olimpico di Sochi, mentre lavora alla prossima, il circuito di Hanoi, in Vietnam, che esordirà nel calendario ad aprile 2020. Cominciamo dal futuro? «Speriamo di essere pronti per il prossimo anno, il tempo a disposizione è poco ma ci siamo abituati. È una sfida interessante, specie per la configurazione che ci impone di usare quasi il 70% di strade normalmente aperte al traffico e il resto completamente nuovo. Due rettilinei brevi, uno lunghissimo da 1,5 km, un paio di curve molto veloci che non sono usuali nei circuiti cittadini». Cosa pensa dell’espansione a Est della F1? «Domanda politica, non decido io il calendario, di certo Hanoi è una bella città da visitare e tutto il Paese è in rapida espansione». Non le hanno risparmiato critiche, definendo tilkodromi le sue opere, sottintendendo poca varietà. «Non abbiamo mai carta bianca sulla quale disegnare. Ma ci sono linee guida, c’è la terra di cui non siamo proprietari, la storia da rispettare: l’altitudine, ma anche la filosofia feng shui a Shanghai. Le norme di sicurezza, che si sono evolute, Imola ci ha insegnato con Senna. Senza rinunciare allo spettacolo, con piste per superare. E poi i costi: gli investitori vogliono strutture multiuso». Quanto costa mediamente la realizzazione di un circuito? «Dipende: in F1 minimo 100 milioni, fino a oltre 1 miliardo di Abu Dhabi, albergo compreso». Come ha iniziato? «Dopo la laurea ad Aachen e il titolo europeo nella tourist car, trovai un lavoro come ingegnere, ma non mi lasciava abbastanza tempo. Mi licenziai e aprii il mio ufficio appunto nella cucina di casa. Dopo qualche progetto minore, come il ponte pedonale al Nürburgring in Germania, mi notò Ecclestone. La mia prima pista, il Red Bull Ring in Austria nel ’95. Poi altri 19 di F1 e quasi 80 in tutto, oltre a impianti sportivi, stadi di football, piste per altre categorie del motorsport, alberghi». Qual è la pista tra quelle che ha disegnato che ama di più? «Non posso dirglielo. I circuiti non sono solo asfalto, ma tutte le persone con cui diventi amico mentre di fatto ci vivi a volte per 5 anni, fino a 80 persone del mio studio coinvolte». La più difficile? «Sochi: dovevamo inserirla nel parco dei Giochi Invernali 2014, non è stato agevole». Com’è cambiato il suo lavoro? «Si impara sempre ogni volta. Io devo molto a Schumacher: gli facevo vedere i miei primi schizzi e lui contribuiva con suggerimenti a migliorare le mie idee, spendendoci molto del suo tempo. Anche adesso mi aiutano alcuni piloti, ma non con la stessa profondità che aveva Michael».