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 2019  settembre 28 Sabato calendario

Biografia di Hossein Kanani Moghaddam, capo dei pasdaran

TEHERAN – La casa del pasdaran è in un quartiere medio di Teheran. Non troppo in alto, verso nord, verso i monti Alborz, la catena di 4 mila metri che contiene la città. Perché a nord ci sono le case e le ville dei ricchi e degli stranieri. Ma non troppo in basso, verso sud, dove l’aria è più pesante e c’è la periferia misera e sterminata della megalopoli da 10 milioni di abitanti. Come tante case e palazzi di Teheran, proprio perché la città sorge quasi tutta in pendio, l’abitazione ha piani sopra e anche sotto il livello dell’ingresso. Si scendono un paio di rampe, strette e male illuminate, e si entra in un grande studio che ha luci al neon e librerie con vetrine. Alle pareti e tutto intorno alla scrivania e al tavolo da riunioni con otto poltrone ci sono i ricordi di una vita. Le foto, i libri, le medaglie, le immagini dei compagni uccisi, i martiri. Una vita da pasdaran. Hossein Kanani Moghaddam è praticamente uno dei fondatori dei Sepah-Pasdaran-e-Enghelab e-Eslami, il “corpo dei guardiani della rivoluzione islamica”. Vennero creati già nel febbraio del 1979, a pochi giorni dal rientro di Khomeini in Iran. Dovevano difendere i capi, i leader religiosi della rivoluzione. Una guardia pretoriana. Ma presto furono costretti a diventare un vero esercito, una milizia capace di controllare a sua volta le forze armate che erano rimaste fedeli fino all’ultimo allo Scià. «In questa foto siamo con Khomeini a Teheran nel 1980», dice il generale Moghaddam. «Ci sono l’imam, Ali Shamkhani, che oggi è il segretario del Consiglio nazionale di sicurezza, Hasan Khomeini, Mohsen Rezaei che è stato uno dei capi dei pasdaran. L’ultimo a destra in basso sono io, avevo 22 anni». Moghaddam si siede e apre un altro album fotografico in cui colleziona le immagini delle battaglie di una vita. «Qui ero in Iraq, qui in Afghanistan, qui sono con il mullah Omar, ai tempi in cui combattevamo i russi. Ma non ho fatto solo il soldato. Per cinque anni sono stato diplomatico nel Regno Unito, ho studiato ingegneria civile e mi sono laureato, ho insegnato dottrina di guerra all’università». Oggi Moghaddam è diventato il capo di un partito politico, il Partito Verde, di cui è stato deputato e che ancora ha due rappresentanti in Parlamento. Lui è fondatore e segretario generale: “verde” sta per il colore dell’Islam oltre che per quello dell’ecologia. «Ma buona parte del mio servizio per la Repubblica islamica è trascorso fra i militari. Noi pasdaran abbiamo passato anni a studiare gli americani, gli israeliani, la loro guerra, la guerra “ibrida”. Ci siamo aggiornati e ci siamo modernizzati. Nell’ intelligence, nella social war, nella economic war. Abbiamo studiato i droni che utilizzavano in Iraq. Le dico subito una cosa: se noi pasdaran siamo in ripresa di popolarità anche fra la popolazione iraniana che più ci ha osteggiato è proprio grazie a Trump. Il presidente americano ha scelto la politica della “massima pressione”, la tattica di schiacciarci con le sanzioni economiche, pesantissime. Dopo 18 mesi dalle sanzioni e dopo una prima fase economica molto dura, adesso ci siamo assestati, stiamo sopravvivendo. E il popolo, i partiti politici, i leader sono più uniti, le nostre divisioni politiche si sono ridotte rispetto alla minaccia esterna». Proprio i pasdaran, con la loro divisione “aerospaziale” che include aerei, missili e droni, potrebbero essere i responsabili degli attacchi del 14 settembre contro l’Arabia Saudita. Vedremo se gli americani nei prossimi giorni forniranno prove davvero concrete. Moghaddam non commenta. «Noi in questi anni abbiamo molto rafforzato la nostra capacità. Nei droni, nei missili da crociera, in quelli balistici, nelle motovedette veloci nel Golfo Persico. Se gli americani dovessero attaccarci, abbiamo pronta una serie di contro-mosse, reagiremmo su tutti i fronti, in ogni punto dove sono presenti, dalle installazioni petrolifere alle basi nel Golfo. E innanzitutto colpiremmo Israele». Perché Israele? Perché questa ossessione della distruzione di Israele? «Perché loro hanno attaccato i musulmani». Moghaddam è stato un camerata del pasdaran più famoso. Quel generale Qassem Suleimani che dal 1998 anni comanda la “Forza Qods”, le truppe pasdaran all’estero che hanno costruito Hezbollah in Libano, che combattono in Iraq, e in Siria di fatto hanno salvato il presidente Assad. Suleimani è il “comandante ombra”, un ufficiale leggendario che ha messo in piedi milizie filo-iraniane in giro per tutto il Medio Oriente. Da suo ex superiore, Moghaddam lo ammira, ma fa anche una osservazione: «Conosco benissimo Suleimani, la struttura Qods era una di quelle sotto il mio coordinamento alla fine del mio servizio: non ho condiviso l’idea di Qassem di distribuire troppe armi a troppi gruppi nella regione…». Lui e altri dirigenti vicini all’area dei pasdaran incontrati in questi giorni ripetono un concetto che gli analisti militari occidentali stanno studiando freneticamente: «Gli americani con tutta la loro potenza economica oggi non sono più capaci militarmente come erano in passato. Noi ci siamo aggiornati. Oggi non si parla più del momento in cui Israele attaccherà Hezbollah in Libano, ma di quando Hezbollah devasterà Israele, quando deciderà di farlo». La sorpresa totale con cui l’Iran o i loro alleati houthi hanno colto la difesa Usa in Arabia Saudita è un fatto su cui riflettere. La capacità tecnologica dei pasdaran era in mostra fino a ieri al “Museo della Santa Difesa”, quello della guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta. Fuori dal museo la settimana scorsa è stato allestito un tendone in cui i pasdaran della divisione aerospaziale hanno esposto tutti i droni americani abbattuti negli anni. Ci sono anche i resti del Global Hawk da 220 milioni di dollari tirato giù il 19 giugno sullo stretto di Hormuz. Quando l’8 maggio del 2018 Donald Trump decise di abbandonare il “Jcpoa”, l’accordo con Teheran che congelava il nucleare militare iraniano, lo ha fatto per due ragioni: per stracciare comunque un’intesa firmata da Obama. Ma anche perché quell’accordo per Usa, Arabia Saudita e Israele era incompleto. Lasciava fuori controllo una tale quantità di armi iraniane (i missili balistici, i droni) che nella regione per molti sono un pericolo mortale, persino di più delle bombe nucleari. Incontriamo Mohammad Ansarifard, un economista e commentatore televisivo vicino al nezam, il sistema. Spiega qualcosa di più sulla passione dell’Iran per i missili: «La nostra necessità vitale di dotarci di missili nasce con la guerra Iran-Iraq di 39 anni fa, con gli attacchi di Saddam Hussein sulle città. Eravamo inerti. I pasdaran in questi anni hanno sviluppato tutto quanto potevano. Adesso l’Iran è una delle 5 o 6 potenze mondiali nel settore dei droni. E per quanto riguarda la sicurezza interna, tutto l’apparato per il controllo del territorio è stato rivisto. Soprattutto contro le infiltrazioni terroristiche dello Stato islamico e dei terroristi sunniti: gli apparati sono molto agguerriti». Ma naturalmente pasdaran e intelligence controllano sempre più strettamente anche il fronte interno del Paese. Hossein Sheikholeslam invece è un ex viceministro degli Esteri, deputato. Oggi è il responsabile esteri dell’Ente per il dialogo religioso fra i musulmani. «Ero studente a Berkeley negli anni ‘70, al tempo del Vietnam. I giovani che a Teheran occuparono l’ambasciata americana mi chiamarono subito perché parlavo inglese e sono rimasto con loro». Deputato, viceministro per 16 anni, ambasciatore a Damasco, Sheikholeslam è uno dei personaggi che in questi 40 anni hanno percorso tutti i corridoi della Repubblica islamica. «Conosco il ministro degli Esteri Zarif da giovane: voleva studiare computer, gli suggerii io di seguire scienze politiche». Sheikholislam è un figlio della rivoluzione. Anche lui ripete qualcosa che tutti ti dicono fra i membri del nezam: «L’Arabia Saudita si è dimostrata incredibilmente incapace, con i 400 miliardi di dollari di armi che hanno acquistato. Gli Usa dovrebbero essere fuori dalla regione del Golfo, i loro amici sono soltanto dittatori. Noi sappiamo che per non essere colpiti, l’unica soluzione è essere forti. E per esserlo bisogna avere tre cose: i finanziamenti, le armi, la volontà. Molti hanno le prime due cose. Noi abbiamo la volontà, la determinazione». Questi sono solo alcuni tasselli del complicato puzzle iraniano. La sintesi la fa un deputato riformista, molto vicino a Rouhani: dice che «le nuove sanzioni di Trump, è chiaro a tutti, hanno avuto l’effetto di spostare il paese verso i pasdaran e i conservatori. A noi non è chiaro se loro difendono l’Iran oppure la “loro” idea di Repubblica islamica. Ma in caso d’attacco comunque Trump avrà avuto l’effetto di costringerci tutti a combattere attorno a loro. Perché non sarà solo una difesa del sistema. Sarà una difesa della nazione iraniana».