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 2019  settembre 28 Sabato calendario

Problemi relativi al taglio dei parlamentari

Una riforma al buio. Il 7 ottobre andrà all’esame definitivo della Camera la legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, “tagliandone” 345. La Camera vedrà i suoi rappresentanti ridursi da 630 a 400, il Senato da 315 a duecento più i senatori a vita (al massimo cinque, con eccezione degli ex presidenti della Repubblica). Gli eletti dall’estero passeranno da 18 a 12. Una norma che i 5S non esitano già a definire “storica”. Ma è una legge, quella in cantiere, che rischia di rappresentare un salto nel vuoto, senza i contrappesi suggeriti dai costituzionalisti e chiesti dal Pd per evitare un impatto traumatico sul sistema. In ballo ci sono questioni come la rappresentanza plurale, il peso dei territori, il funzionamento del parlamento. Vediamo rischi e possibili correttivi, con l’incognita dei tempi.
La legge elettorale
La riduzione del numero dei parlamentari dovrebbe essere accompagnata da una legge ordinaria che riscriva il sistema elettorale. È opinione prevalente, fra i giuristi, che sia in pericolo la rappresentatività dell’assemblea e che l’antidoto sia il proporzionale. Questa è la posizione del Pd, che punta anche su una soglia di sbarammento alta (4 o 5 per cento). Mentre Salvini vuole un referendum per introdurre un maggioritario spinto. Che però, in combinazione con un ridotto numero di collegi, esporrebbe al pericolo di coalizioni bulgare in Parlamento.
I collegi
Una legge delega approvata a maggio fissa già il numero dei collegi: il minimo di senatori per ogni regione scende da 7 a 3, e nulla cambia per Molise (2) e Valle d’Aosta (1). L’Umbria e la Basilicata perdono il 57 per cento dei loro eletti a Palazzo Madama, l’Abruzzo e il Friuli il 43. «I territori medio-piccoli sono penalizzati nella rappresentanza. Sarebbe giusto abolire il criterio della base regionale per il Senato e fare collegi più ampi per eliminare disparità», afferma Stefano Ceccanti, ordinario di diritto pubblico e deputato Pd. In ogni caso, il nuovo perimetro dei collegi è da definire. Con un’altra legge.
Il capo dello Stato
Con la riforma si abbasserà di molto la maggioranza richiesta per l’elezione del presidente della Repubblica: 439 voti ai primi tre scrutini, 330 dal quarto. Mattarella nel 2015 fu eletto con 665 voti. Ciò può incidere sulla rappresentatività del capo dello Stato? Di certo c’è un bug del sistema: «Secondo la Costituzione partecipano all’elezione pure 58 delegati delle Regioni. Il peso di questa rappresentanza è sproporzionato in un Parlamento di dimensioni ridotte. Va cambiata la norma», dice Giuseppe Verde, docente di costituzionale.
Le commissioni parlamentari
Sarà ridotto il numero dei membri delle commissioni: si prevedono in media 5 componenti per ciascun organismo. Ciò comporterà, per ogni eletto, incarichi multipli e competenze plurime. «Una soluzione – dice il costituzionalista Michele Ainis – potrebbe essere la riduzione anche del numero delle commissioni: il fatto che organismi così piccoli varino leggi in sede deliberante solleva perplessità».
I correttivi
Il Pd punta a un accordo di massima coi 5S – prima del voto sul taglio dei parlamentari – per definire una serie di norme «di contesto»: anzitutto la legge elettorale proporzionale (o in alternativa un maggioritario con il doppio turno) e poi una seconda riforma costituzionale che dovrebbe contenere, tra l’altro, l’introduzione della sfiducia costruttiva (con la preventiva indicazione di una maggioranza alternativa), la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del capo dello Stato, l’allargamento del voto per il Senato anche ai diciottenni. «Siamo in una strettoia ma prima del 7 ottobre dobbiamo trovare un’intesa», dice Ceccanti.
I tempi
Questo secondo pacchetto di norme potrebbe essere sottoposto a referendum, non prima della metà del 2020, assieme al taglio dei parlamentari. Ci sarebbe, insomma, un election day del tutto particolare, legittimato da una norma del 1970. Ma su questo percorso dovrebbe innestarsi anche l’iter della nuova legge elettorale e quello di un altro referendum, di natura abrogativa, chiesto da Salvini per ampliare la quota maggioritaria del “Rosatellum”. Una matassa difficile da sciogliere. E i prossimi giorni, quelli della trattativa fra Pd e M5S, saranno decisivi.