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 2019  settembre 27 Venerdì calendario

INTERVISTA A MARCO CUBEDDU

Eleonora Barbieri
Marco Cubeddu, genovese («ma sono sardo di origine, e testardo»), 32 anni, da 14 è: scrittore (Con una bomba a mano sul cuore, 2013; Pornokiller, 2015); biografo (di Costantino della Gherardesca, L’ultimo anno della mia giovinezza, 2018); caporedattore (ormai ex, ha lasciato qualche mese fa, dopo 5 anni a Roma) di Nuovi Argomenti, la storica rivista letteraria fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci nel 1953; personaggio televisivo, grazie a Pechino Express (nel 2016) e a The Lady, una webserie di Lory Del Santo; pompiere precario; guardiafuochi sulle navi in costruzione di Fincantieri (da poco). Perciò, se scrive di Un uomo in fiamme (Giunti, pagg. 324, euro 17), sa di che cosa parla: nello specifico, di un disastrato pompiere genovese, Roberto Franzini, di stanza a Busalla e dall’anima molto, molto problematica...
Che cosa vuol dire pompiere precario?
«Ti chiamano per venti giorni, fai una pausa e ti richiamano».
Si parla di giornalisti precari, di pompieri precari mai.
«Il pompiere non se lo immagina nessuno. Ora c’è una graduatoria, per stabilizzare i precari».
Lei è nella graduatoria?
«Sì, ci sono. Ho scoperto che voglio fare anche il pompiere. Fare lo scrittore è conciliabile con altre realtà. Oltretutto, da pompiere precario mi sono mantenuto, mentre da scrittore precario guadagni molto poco, o niente. Ed è un ambiente salvifico da molti punti di vista, c’è bella gente».
Fra i pompieri, o fra gli scrittori?
«Diciamo che nell’ambiente editoriale ho incontrato anche belle persone; nei pompieri ho incontrato tante belle persone. Ci sono persone terrificanti, anche fra i pompieri, ma nell’editoria sono più terrificanti».
I pompieri sono gli ultimi eroi?
«Sono eroi di tutti i giorni, con lo scazzo, i soldi che non arrivano e tu che hai lavorato come una bestia. Sono quegli eroi lì, non sorridenti ed esaltati, ma con il senso del dovere morale. C’è un sovradosaggio di energie fra i pompieri, nonostante siano pochi, vecchi e malpagati».
Lei non è vecchio.
«Ma sono precario. L’età media del pompiere genovese è di 52 anni. Il pompiere è un eroe dei nostri giorni perché è un eroe male ingraiato, come dico io. È bello per questo».
Roberto Franzini sarà bello, ma è anche un bel bastardo.
«Non ha ancora imparato a essere coraggioso con sé stesso. Si confronta con una eredità del Corpo, incarnata dal padre, che è un eroe mugugnone, mentre lui è un cantante punk, più che un pompiere impeccabile».
È un romanzo autobiografico?
«Diciamo che Franzini è un collage dei peggiori esempi di virilità dei miei amici più cari, incluso me stesso. Siamo pessimi esempi di maschi bianchi eterosessuali».
Chi?
«Di sicuro io e i miei più cari amici, maschi irrisolti fra crisi adolescenziale e di mezza età, senza aver diritto a nessuna delle due. È il limbo del 30-40enne. C’è un Roberto Franzini in ogni uomo, il punto è riconoscerlo, e buttarlo in un libro. Oppure andare dall’esorcista».
Regole di Roberto Franzini: non usare i sottopassaggi, i fazzoletti, i chewing-gum, gli ombrelli. Sono anche le sue?
«Le ho rispettate fino all’esasperazione».
Perché il sottopassaggio?
«L’idea è che l’uomo, attraverso la sua mascolinità, faccia percepire alle macchine che non devono schiacciarlo. Una specie di aura».
Non usare il fazzoletto è disgustoso.
«Lo uso eccome, ma solo se prestato. Queste regole hanno reso impossibile la mia vita, ma anche divertente; e sono tutte perfettamente aggirabili con una giusta dose di ipocrisia».
Le tre regole del disilluso Franzini: non pensare; dormi ogni volta che puoi; bevi a dismisura. Condivide anche queste?
«Le prime due sono prese da Moby Dick, l’ultima l’ha dedotta, da Moby Dick e dalla vita, in generale. Non le condivido, ma ho fatto finta di condividerle».
Come ha iniziato a Nuovi Argomenti?
«Ci scrivevo da tempo, ci ho esordito, fin da ragazzo sognavo di scrivere delle poesie per la rivista, poesie che per fortuna non sono mai state pubblicate... Quando il direttore e Antonio Riccardi mi hanno chiamato sono stato molto contento. Fare il caporedattore lì è poco remunerativo, ma formativo al massimo: è l’ultima casa della letteratura italiana».
Perché ha lasciato?
«Sono tornato a Genova per ragioni personali. E poi ero affascinato dall’idea di lavorare sulle navi, ora ho appena finito il turno antincendio in Fincantieri. Fra il cantiere e l’editoria romana, il cantiere è molto più stimolante. In un’estate da guardiafuochi ho raccolto molte più storie che in tutti gli anni a Roma».
Non ha incontrato persone interessanti a Roma?
«Molte. Alessandro Piperno, Raffaele Manica, Dacia Maraini, Elisa Casseri. È stato entusiasmante, però avevo voglia... Per esempio, l’altro ieri ero a Ponte 7 e c’era un bengalese, musulmano, che pregava sul suo tappetino e, a un certo punto, gli ha preso fuoco il tappetino da sotto. Di queste cose ne succedono mille».
Le piace di più?
«Fa parte del nutrimento che serve per scrivere, e non credo che l’ambiente dell’editoria produca questo nutrimento; infatti molti scrittori ne stanno alla larga o, almeno, fingono di starne alla larga. Oggi sono più a mio agio fra camorristi in fuga e immigrati su navi in fumo».
Da pompiere salva i gatti, come Franzini?
«Succede tantissime volte. Ho salvato gatti, sono stato graffiato. Ho salvato anche una papera».
Che altro?
«Ho spento un enorme muro di balle di fieno in fumo, fuori Torino, all’epoca in cui frequentavo la Scuola Holden. Ho recuperato un vecchietto da una scarpata; poi tanti ascensori, tanti pazzi...».
Poi?
«Porte. Ho aperto tantissime porte. Perché la gente rimane davvero tanto chiusa fuori. C’è un senso nobile perfino in quel gesto, anche se il pompiere genovese lo fa bestemmiando... Il pompiere genovese ha il mugugno dentro, però è divertente, quel mugugno. È umanità e calore».