Corriere della Sera, 27 settembre 2019
Il cane perfetto
I l suo intento, in origine, era nobile: risolvere il problema di una donna cieca che necessitava di un cane guida che fosse anche compatibile con l’allergia del marito. Nell’immediato non potè aiutarla: fece una trentina di tentativi con dei barboncini, il cui pelo è generalmente tollerato anche dalle persone allergiche, ma si rese conto che non erano animali adatti all’accompagnamento di un non vedente. La risposta la trovò tre anni più tardi, dando vita (letteralmente) al labradoodle, un incrocio tra il Labrador retriever, docile e collaborativo, e il Poodle, il barboncino nano. Un labrador con i riccioli, insomma. Oggi Wally Conron, allevatore della Royal Guide Dogs Association of Australia, è pentito. Ha preso le distanze dalla sua «creatura», che è poi diventata molto popolare sia nel suo Paese sia negli Usa, arrivando a definirla il suo «più grande rammarico». Perché il labradoodle è stato il capostipite dei designer dog, ibridi studiati per essere belli e magari glamour. «Ho aperto un vaso di Pandora – ha detto Conron – e ne è uscito un mostro alla Frankenstein».
Diversi mostri, a dire il vero: il puggle (incrocio tra un Carlino e un Beagle), il maltipoo (Maltese + Yorkshire), il goberian (Golden Retriever + Siberian Husky), il beabull (Beagle + Pitbull), l’horgi (Husky + Welsh Corgi), il pomsky (Volpino di Pomerania + Siberian Husky), tanto per citarne alcuni.
Le parole di Conron hanno fatto il giro del mondo rilanciando il dibattito sui confini della manipolazione genetica. «È interessante il paragone con Frankenstein – sottolinea Elena Garoni, veterinaria e docente universitaria, autrice di Piacere di conoscerti (Tea) – perché sfata l’idea dell’onnipotenza umana. Pensiamo di sostituirci a Dio e poi ci rendiamo conto, solo quando è tardi, dei nostri errori. Non può esistere la razza perfetta. Cerchiamo la nostra felicità, ma creiamo infelicità».
Perché i cani ultraselezionati, che derivano tutti dalle medesime linee genetiche, vanno spesso incontro a problemi di salute. Come per gli esseri umani, la consanguineità è negativa: si trasmettono le caratteristiche estetiche ma anche i geni recessivi, ovvero la propensione a sviluppare patologie. Basti pensare alla displasia all’anca. «Nei cani sarebbe un fenomeno trascurabile se si lasciasse fare alla natura – spiega Massimo Raviola, veterinario a Torino, autore di Che razza di bastardo (L’Età dell’Acquario) – perché i geni negativi sarebbero via via eliminati. Il mantenimento del patrimonio genetico fa invece sì che il problema persista. Nei nostri ambulatori aumentano gli interventi di correzione con protesi, soprattutto nei cani di razza giovani». Anche molte delle razze ormai consolidate presentano caratteristiche fisiche che clinicamente sarebbero definite malformazioni: il muso schiacciato, le zampe corte, il gigantismo. E tutte portano con sé potenziali disturbi riconducibili alla «correzione» attuata dall’uomo. «Bisogna liberarsi del mito estetico – dice ancora Raviola —. Conviviamo da migliaia di anni con questo animale, la selezione c’è sempre stata ma in origine era sulle attitudini per le funzioni che era chiamato a svolgere: la caccia, la guardia, la cura delle greggi. Oggi è solo una questione di look. Produciamo cani in una sorta di fabbrica delle razze sapendo in partenza che potrebbero avere problemi. È eticamente inaccettabile».
«Lo scopo della cinofilia è innanzitutto la conservazione della biodiversità attraverso la valorizzazione delle razze canine e della loro funzione – commenta Dino Muto, presidente dell’Enci, l’Ente nazionale della cinofilia italiana —. Le attitudini sono state determinanti nel costruire una relazione vincente con l’uomo. Una cosa è cercare di valorizzare le razze autoctone, altro è crearne di nuove per soddisfare le esigenze effimere del consumismo globale. La selezione delle razze canine oggi deve puntare alla salute degli animali e al loro più completo utilizzo nella società contemporanea».