il Giornale, 26 settembre 2019
Il film erotico degli anni Settanta
Se gli italiani hanno una predisposizione, ben prima dell’Alighieri, è alla commedia (genere nel quale, fin dai latini, hanno sempre eccelso, più che nella tragedia). E se hanno un’inclinazione, è al sesso.
Il teatro comico romano, Giovenale, le satire, la commedia dell’arte, Goldoni, il varietà, la grande commedia all’italiana del cinema degli anni ’50-60... C’era una volta – epoca d’oro e Lingua d’argento, sono gli anni Settanta – la commedia sexy. Al netto dei sottofiloni e ramificazioni (i decamerotici, poliziottesche, caserme, la famiglia, l’erotismo alla siciliana, le liceali...) è considerata un fenomeno con caratteristiche uniche nel panorama cinematografico mondiale: l’abbiamo creata, declinata in tutte le varianti possibili, e esportata, dalla Francia al Brasile, fino al Giappone (arricchendo la versione base con inserti hard). Quando c’è da (far) ridere e giocare col sesso, ci siamo sempre fatti notare. Intrighi amorosi, invenzioni linguistiche, battute, maschere, equivoci, scambi di persone, erotismo e belle dame. Gli elementi sono gli stessi che usava Plauto. Il nostro cattolicesimo ci ha aggiunto il peccato, la Democrazia Cristiana il comune senso del pudore, il Sessantotto ha lasciato in dote il nudo e un produttore ha scoperto Edwige Fenech. Tutto il resto è venuto da sé....e si salvò solo l’Aretino Pietro, con una mano davanti e l’altra dietro... Era il 1972, e la creatività titolistica non era neppure ancora ai suoi massimi.
Il massimo esperto, oggi, con una decennale carriera in sale di quartiere, è Marco Giusti – autore televisivo, critico e storico del cinema, conoscitore di serie A degli Italian Kings of B’s – che aggiunge ora un altro tassello alla sua opera di catalogazione antropofilmica del cinema popolare italico. Ed ecco, dopo i volumi dedicati al peplum, agli spaghetti-western e agli 007 di casa nostra, il monumentale Dizionario Stracult della Commedia Sexy (Edizioni Bloodbuster, pagg. 528, euro 35). Più di 400 titoli schedati (dati tecnici, trama, critica e aneddotica varia, dalla frase di lancio sulle locandine al grado di nudità delle dive, vicissitudini processuali, incassi, stroncature, infortuni sul set, numero di metri tagliati dalla censura... dio mio, quante inquadrature ci siamo perse...), dalla A di Acapulco, prima spiaggia a sinistra (Sergio Martino, 1983) a Zucchero, miele e peperoncino (Sergio Martino, sempre lui, 1981), lungo poco più di un decennio, quel gran pezzo dei Settanta (poi la tv commerciale inghiottirà sesso, commedia e tutti i suoi protagonisti, da Gianfranco D’Angelo a Lory del Santo), oltre un inserto fotografico con i flani d’epoca (imperdibile quello de Il merlo maschio, 1971) e i migliori manifesti disegnati dal maestro del genere, Enzo Sciotti (gli originali costano anche 6mila euro). Ma soprattutto con una sontuosa introduzione (80 fittissime pagine) in cui Marco Giusti ricostruisce nascita, contesto storico, evoluzione, crisi e resurrezione critica della commedia sexy. Testo definitivo.
Di definito, in realtà, non c’era molto quando tutto iniziò. Se non che a un certo punto, ’68&dintorni, grazie alla rivoluzione culturale, alla minigonna e Wilhelm Reich, mentre i primi giornaletti spinti arrivano in edicola, l’Italia – sia quella povera e cattolica del dopoguerra sia quella più ricca e democristiana del boom economico – scopre che il sesso, oltre a farlo, si può raccontare, guardare, discutere, svelare, spiare. Spogliamoci così, senza pudor... 1977.
Meno pudore e più trasgressione, mentre nel Belpaese (Luciano Salce, 1977) si comincia a sparare nelle strade, «la prima linea del cinema più impegnato e artistico, diciamo la nostra Nouvelle vague» – scrive Giusti – indica la via italiana all’erotismo. Curioso: non sono i mestieranti, gli artigiani, le seconde linee, ma i grandi registi a firmare film che da lì a poco, certo in modo molto più godereccio e scollacciato, daranno vita a varianti fortunatissime. Il Decameron di Pasolini (1971). Ultimo tango a Parigi di Bertolucci (1972). Malizia di Salvatore Samperi (1973). Amarcord di Fellini (1973), che tratta il sesso in maniera marginale, ma già fortemente erotica e iconica.
L’impronta dei maestri, un pubblico enorme pronto a farsi un’abbuffata di sesso, produttori che sfruttano l’onda, budget in fondo limitati e incassi per il tempo faraonici, una classe di favolose attrici minorenni, ragazzine, adolescenti, liceali, nipoti, Grazie zia, cugine e cognate, mogli, amanti e sorelle bone. Oppure vestite da infermiere, dottoresse, poliziotte... Il gradimento nazional-popolare delle dive desnude determinava il loro cachet. Edwige Fenech, regina del genere sexy, poteva ottenere 70 milioni a film, Gloria Guida 50, Femi Benussi tra i 10 e i 15. Tra i maschi, la star assoluta che trasformava in code al botteghino ogni pellicola che interpretava, era Lando Buzzanca (che prendeva gli stessi soldi di un Volontè). Donne nude e Homo eroticus.
Il fatto, è che non era solo una questione di donne nude e erotismo casereccio. I film della commedia sexy proiettano, come sempre, i desideri, le frustrazioni e le abitudini degli spettatori che li (ri)guardano. Peccati di provincia, vizi di famiglia, calde notti e collegiali, sogni di classi miste, storielle di corna e di passione, Innocenza e turbamento, notti peccaminose e novelle licenziose... Non c’è nulla da fare. Il Paese in quegli anni ha Il sesso in testa.
I corpi sono bellissimi, a volte leggermente imperfetti ma più veri e sensuali. A portata, come si dice, di mano. La censura è occhiuta e più morbosa degli sceneggiatori, la critica militante fatica parecchio a capire, gli spettatori neppure si sforzano di farlo, gli bastano collant e scollature, il politicamente corretto non era ancora nato (e si poteva intitolare un film Elena sì, ma... di Troia), le femministe protestavano, ma anche loro senza reggiseno, e comunque solo nel 1974 si produssero 176 film e le sale erano 9.089. Di quell’anno, peraltro, si ricorda La signora gioca bene a scopa? con la più bella battuta dell’intero filone (Oreste Lionello, che interpreta uno sceneggiatore, rivendica: «Io faccio un cinema di rottura!», cui la cameriera risponde: «Di coglioni»), e una scena di nudo memorabile della Fenech. La pellicola fece 718 milioni di lire di incassi.