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 2019  settembre 26 Giovedì calendario

Dove siederanno quelli di Italia Viva

La presa di distanza non è solo politica, ma addirittura fisica. L’ennesimo solco in una maggioranza che a nemmeno un mese dalla fiducia del Conte 2 è già sull’ottovolante. Seppure in via informale, infatti, Maria Elena Boschi ha chiesto al presidente della Camera Roberto Fico che il neonato gruppo parlamentare renziano Italia viva possa sedere nella zona centrale dell’emiciclo. Il che, tradotto, significa lontano dal Pd. Matteo Renzi, insomma, vorrebbe che i suoi finissero a fianco a Forza Italia, schiacciando di fatto il gruppo del M5s verso i dem. Una rappresentazione plastica dei nuovi equilibri della maggioranza, con Italia viva che sembra volere avviare un cammino di lento distacco.
Come andrà a finire è tutto da vedere – perché la richiesta avanzata dalla Boschi è ancora ufficiosa e perché sia Forza Italia che Fdi avrebbero già fatto sapere a Fico di non essere d’accordo – e il tema sarà oggetto di discussione nel prossimo ufficio di presidenza della Camera. Ma certo, ci sono pochi dubbi su quale sia la strada intrapresa da Renzi che, non a caso, ci tiene a sottolineare che Italia (...)
(...) viva non si presenterà alle prossime Regionali in Umbria (il 27 ottobre) e Emilia-Romagna (il 26 gennaio). Come a dire che l’accordo con il M5s lo lascia tutto al Pd.
È in questo clima che Giuseppe Conte continua la sua corsa verso la leadership. Dopo avere trascorso 14 mesi a fare il notaio dei suoi burrascosi vicepremier – Luigi Di Maio e Matteo Salvini – l’autoproclamato «avvocato del popolo» sembra averci preso gusto a stare sotto le luci della ribalta. Da Malta presenta il «piano europeo contro l’immigrazione», da New York lancia un «patto contro l’evasione con gli italiani onesti» e infine affonda sul leader della Lega che dovrebbe «con urgenza fare chiarezza» sui presunti fondi russi arrivati nelle casse della Lega. Un j’accuse che arriva proprio mentre in Transatlantico rimbalzano rumors più o meno attendibili su possibili inchieste in sonno in quel di Milano. Un Conte, dunque, completamente trasformato. Forte del basso profilo fin qui scelto dal capo delegazione dem al governo, il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. E delle cattive acque in cui versa il suo omologo grillino, il ministro degli Esteri Di Maio. L’insofferenza nel Movimento verso la sua leadership, infatti, è ormai tangibile e in molti – persino ai piani alti di largo del Nazareno – temono che la bomba possa esplodere con conseguenze imprevedibili. Il premier sembra esserne ben conscio, ma si guarda bene dal solidarizzare con il suo ex vicepremier.
D’altra parte, è stato proprio Di Maio a fare di tutto per sabotare la nascita del Conte 2 e questo difficilmente gli sarà perdonato. Non è un caso che i rapporti tra i due siano piuttosto tesi e che il presidente del Consiglio – a differenza del passato – si guardi bene dal consultarsi con lui prima di fare o dire qualcosa. Come è accaduto sulla proposta di tassare le bibite gassate, idea seccamente respinta da Di Maio dopo che Conte l’aveva già avallata.
Come è nelle umane cose – e quindi anche in quelle della politica – il premier è deciso a ritagliarsi un suo ruolo che, necessariamente, passa per un netto ridimensionamento di Di Maio. Così, se il leader grillino è percepito come l’uomo dell’accordo con la Lega, Conte decide di strizzare l’occhio all’ala sinistra del Movimento con il piano per ridurre l’evasione limitando l’uso del contante, vecchio cavallo di battaglia del centrosinistra. E lo fa da New York, proprio mentre a Roma il ministro degli Esteri è messo sotto processo dall’assemblea dei senatori grillini, decisi a commissariare un leader accusato di preoccuparsi solo della sua poltrona. È nei fatti, dunque, che Conte si sta proponendo come la leadership naturale di un M5s che sembra muoversi verso il Pd. Non solo a livello di governo nazionale, ma anche sul territorio con l’accordo di Umbria e la trattativa in corso in vista delle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria (lì si voterà tra il 24 novembre e il 26 gennaio, ma la data ancora non c’è).
E in questo scenario va inquadrato anche il corteggiamento sfrenato della Lega ai parlamentari grillini che si muovono sulla fascia destra del campo. Trattativa di cui ha candidamente parlato ai microfoni di Radio radicale lo stesso Salvini, a certificazione di quanto il momento sia complesso e confuso visto che ancora 48 ore fa l’ex ministro dell’Interno ripeteva pubblicamente che solo il vincolo di mandato «potrà salvarci da traditori e voltagabbana che non rispettano il mandato elettorale». Invece, secondo il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, i potenziali transfughi sarebbero «almeno una ventina». Anche se nel Movimento, a ieri sera, i ben informati ne contavano solo tre o quattro (un deputato e massimo tre senatori).