Il Sole 24 Ore, 26 settembre 2019
Storia dell’impeachment
«Repubblica o monarchia? Repubblica, se saprete preservarla». La speaker della Camera Nancy Pelosi ha scelto queste parole – pronunciate da Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti – per legittimare il ricorso all’inchiesta di impeachment contro Donald Trump. Non a caso: illustrano il rilievo d’un istituto politico-giudiziario rivolto a combattere gravi abusi di potere e i cui capisaldi sono iscritti già nell’Articolo 1 della Costituzione.
La storia dell’istituto – nessun presidente è mai stato cacciato per impeachment – rivela però anche quanto sia straordinario e controverso. Tre “inquilini” della Casa Bianca sono arrivati vicini alla condanna. Andrew Johnson nel 1868 e Bill Clinton nel 1999 furono incriminati e poi assolti in Congresso. Jackson accusato d’aver illegalmente estromesso il segretario alla Guerra e rivale Edwin Stanton. Clinton di falsa testimonianza e ostruzione della giustizia, dopo una denuncia per molestie sessuali. Richard Nixon è ad oggi il solo barometro dell’efficacia dell’impeachment: si dimise nel 1974 prima che scattasse, certo di essere travolto dall’enormità dello scandalo Watergate.
La Costituzione prevede l’impeachment per «tradimento, corruzione» o «high crimes and misdemeanor», ambiguo riferimento a crimini seri e infrazioni ereditato dalla tradizione giuridica britannica e che non dipende tanto da criteri legali nell’identificare reati quanto dalla discrezione dei parlamentari nel definire soprusi inaccettabili, compresi comportamenti incompatibili con la carica e guadagni e vantaggi personali da parte di alti funzionari del Paese – tutte ipotesi in gioco per Trump. Un altro padre fondatore, Alexander Hamilton, li riassunse nella «violazione della fiducia dei cittadini». La Costituzione prescrive specificamente che nella rete dell’impeachment possano cadere «presidente, vicepresidente e tutti i funzionari civili degli Stati Uniti». Alla Camera dei deputati spetta poi avviare un’inchiesta e muovere le accuse.
Le indagini – abitualmente ma non necessariamente – sono avviate da un voto: i leader democratici contro Trump hanno istruito direttamente sei commissioni coinvolte a lavorare all’istruttoria. La durata e ampiezza di ricerca e acquisizione di prove, testimonianze e audizioni non è prescritta. Alla fine, se necessario, vengono redatti articoli di impeachment, equivalenti a richieste di incriminazione, sottoposti a un voto a maggioranza semplice della commissione Giustizia e poi dell’intera Camera nei panni di Grand Jury. Se approvati, gli articoli portano al processo in Senato (che può anche liquidarlo senza dibattimento). A presiederlo, quando l’imputato è il presidente, è il Chief Justice della Corte Suprema. La pubblica accusa è affidata a “manager” scelti dalla Camera tra i deputati; il presidente ha i suoi avvocati difensori. Il verdetto di colpevolezza, senza appello, o l’assoluzione spettano a una “giuria” composta dai cento senatori. La condanna richiede una maggioranza di due terzi e rimuove il presidente.