Corriere della Sera, 26 settembre 2019
Il doping e il body building: tre morti
Tre morti sospette, l’ultima lunedì alle sei della mattina, in una stanza d’albergo a Padova. Ventiquattr’ore prima Daniele Pozzi, 23 anni, culturista di Varese, aveva vinto quattro medaglie in una gara nazionale di body-building. L’autopsia dovrà chiarire se questo ragazzo – personal trainer e addetto alla sicurezza nei locali tra Lombardia e Svizzera – abbia utilizzato farmaci proibiti. L’ombra del doping grava anche sul decesso del livornese Giancarlo Pesci – elettricista e deejay, 44 anni —, anche lui appassionato body-builder: il 21 agosto – dopo che la compagna aveva dato l’allarme al 112 perché lui non rispondeva al telefono – i carabinieri lo hanno trovato privo di vita nella sua stanza da letto. In casa siringhe, fialette e medicinali e anche in questo caso sarà l’autopsia a stabilire se la morte sia stata causata dall’assunzione del mix letale di farmaci o da un malore. Poi la salernitana Anna Milite, 46 anni, barista a Nocera Inferiore. A marzo viene ricoverata per un tumore. Ma i medici si accorgono subito che la donna, il cui corpo è stravolto dagli esercizi in palestra, era imbottito di steroidi. Va in coma, si spegne il 28 luglio. Ci sono tre indagati (il medico che la seguiva e due preparatori) per concorso in morte come conseguenza di altro delitto e utilizzo o somministrazione di farmaci vietati.
Tre casi che sconvolgono uno sport dove il doping si affaccia sovente. Uno studio di Sandro Donati, l’allenatore che ha fatto della lotta ai medicinali proibiti una missione, e della criminologa Letizia Paoli, fornisce numeri impressionanti: in quasi una palestra su sei (il 16,25%) con strutture da body building circolano sostanze dopanti e ne farebbero uso 68.700 praticanti (addirittura uno su tre). Un affare complessivo da oltre 500 milioni di euro all’anno, dove la parte del leone la fanno gli steroidi, che sono appunto i prodotti preferiti da chi vuole tanti muscoli e in poco tempo.
La disciplina, pur riconosciuta dal Coni, non ha una federazione di riferimento ma è gestita da associazioni affiliate agli enti sportivi. Sono in tutto una ventina, per un totale di circa 10 mila tesserati,i soli che partecipano alle gare. Meglio ribadirlo: la maggioranza degli appassionati rivendica con orgoglio di stare alla larga da farmaci proibiti e di modellare i muscoli solo grazie a una vita da asceti. Sveglia alle sei della mattina. Poi subito in palestra, a «pompare» con panca piana, panca inclinata, scrollate. E ancora: calorie e pasti contingentati, semmai sostituiti da integratori che rimpiazzano pane, pasta, dolci. Per non parlare degli orari. Si va a letto verso le 22 «per dormire almeno otto ore. Niente liti tra coniugi perché possono alterare il cortisolo, ovvero il fattore dello stress. Aumenta la ritenzione idrica, si abbassa il testosterone e la crescita muscolare, a lungo andare, non viene favorita. Un problema, se in gara i giudici devono valutare la tonicità del corpo». Lo spiega Matteo Torelli, portavoce della «Bbf Italia» che per allontanare le tentazioni illegali propone agli iscritti solo categorie dal peso controllato. Ad esempio i «tall» – alti al massimo un metro e 80 – non possono andare oltre gli 83 chili perché oltre «è facile ipotizzare l’uso di farmaci». Le donne – circa il 30% dei praticanti – spesso si avvicinano al culturismo per sconfiggere bulimia o anoressia: «Allenamento equilibrato e dieta sana – prosegue Torelli – aumentano l’autostima e l’equilibrio psicofisico».
Parlare apertamente di doping, nell’ambiente, è comunque difficile. Ne sa qualcosa Gabriello Castellacci, maestro dello sport del Coni, alfiere della lotta ai farmaci proibiti, che sulla sua seguitissima pagina Facebook pubblica regolarmente i nomi dei bodybuilder squalificati – quattro nel solo settembre – dalla Nado Italia (l’organo di controllo federale). «Spesso mi chiamano per invitarmi a togliere quelle notizie. Ma io chiudo regolarmente la telefonata».