Corriere della Sera, 26 settembre 2019
Intervista al premier afghano Ashraf Ghani
«Ovvio che andremo a votare sabato 28 settembre. Tutto come previsto, nonostante le critiche e le sfide. Non c’è dubbio che la macchina elettorale si metterà in moto, è pronta. La faremo funzionare, per la democrazia, per il nostro futuro».
Risponde più deciso che mai Ashraf Ghani. Ha 70 anni suonati e appare assolutamente determinato a non rinviare il voto. Sono le «sue» presidenziali. Le ha vinte per il rotto della cuffia nel 2014: ora mira ad essere rieletto. Negli ultimi mesi è già stato costretto a rinviarle due volte. «Non ci sarà una terza», assicura. E pazienza se questo settimo appuntamento elettorale, da dopo la caduta del regime talebano a seguito dell’invasione Usa nel 2001 in risposta agli attentati dell’11 settembre, si presenta anche come il più problematico, insicuro e addirittura a rischio di implosione. Non passa giorno che non ci siano attentati. Si sfiorano le ottanta vittime quotidiane. Kabul è una città blindata. Per arrivare al palazzo presidenziale occorre perdere ore ai posti di blocco. Secondo diversi analisti i talebani controllano o operano con facilità in quasi il 70 per cento del Paese. Le accuse di corruzione contro il governo sono endemiche, l’economia in ginocchio.
Ma presidente è proprio sicuro che non ci sarà il terzo rinvio? I talebani minacciano elezioni nel sangue. Alle presidenziali del 2014 votarono oltre 8 milioni di afghani secondo i dati ufficiali. Ma alle parlamentari l’anno scorso furono solo 3,6 milioni. Che legittimità avrebbero se fossero persino meno?
«Si va alle urne. Il popolo afghano è determinato ad esercitare il diritto fondamentale di scegliere il proprio leader. La gente dirà chiaramente che non vuole la tirannia, dimostrerà al mondo che opta per la democrazia e per governi che non siano imposti da altri con la forza. Noi crediamo fermamente che milioni di afghani voteranno e ciò nonostante le minacce dei talebani».
Però cresce il numero di coloro che vorrebbero il rinvio. E nelle ultime ore lo stesso ex presidente Hamid Karzai ha dichiarato pubblicamente che sarebbe meglio firmare un accordo di pace con i talebani prima di andare alle urne.
«I recenti commenti di Karzai sulle elezioni sono ingiustificati e privi di alcun fondamento. Forte di un solido mandato e larga legittimità, il prossimo governo lavorerà sul processo di pace a partire dal primo giorno del suo insediamento. Saranno proprio le elezioni a dare legittimità ai nostri negoziati per un accordo omnicomprensivo e duraturo. Io mi sono personalmente impegnato per ottenere una pace che sia davvero definitiva, vi ho lavorato a tempo pieno con in mente un progetto complessivo. Mi ci dedico quotidianamente anima e corpo».
Come giudica la scelta del presidente Donald Trump che ha bloccato il negoziato con i talebani lo scorso 7 settembre?
«Il mio governo rafforzerà la consultazioni nazionali, regionali e internazionali per la pace. La scelta di Trump riflette le autentiche preoccupazioni di quegli afghani che temevano per l’eventualità di una pace che non rispettasse i passi avanti compiuti negli ultimi 18 anni e addirittura diventasse una minaccia per la nostra repubblica democratica. Trump ha fatto bene anche a pretendere l’immediato blocco delle violenze talebane, come del resto noi chiedevamo da lungo tempo».
I recenti commenti di Karzai sulle elezioni sono privi di alcun fondamentoIl prossimo governo lavorerà sul processo di pace a partire dal primo giorno del suo insedia-mento
In seguito alla mossa di Trump la Nato accantona i piani per una riduzione del contingente militare nel suo Paese. È soddisfatto? Ma ciò non significa anche che non siete ancora capaci di stare in piedi da soli?
«Noi siamo grati ai nostri partner internazionali per l’aiuto che ci danno nel combattere il terrorismo regionale e internazionale. Necessitiamo del loro contributo onde evitare che l’Afghanistan non torni ad essere un’area franca del terrorismo. La nostra cooperazione deve continuare. La nostra difesa è la vostra difesa».
Dunque restano anche i 750 soldati italiani a Herat?
«Grazie agli italiani, Herat si è sviluppata nella sicurezza. Noi apprezziamo infinitamente la loro presenza».
Pare che l’Isis stia trovando terreno fertile da voi.
«Sì, l’Isis costituisce una minaccia crescente per noi e l’intera regione. Ci siamo impegnati a sconfiggerlo, anche se sappiamo che i talebani continuano a dargli sostegno e protezione in Afghanistan».
Ma come spiega che dopo 18 anni la situazione sia ancora tanto fragile e pericolosa? Non le sembra si stia tornando indietro?
La scelta di Trump riflette le autentiche preoccu-pazioni di quegli afghani che temevano per l’eventualità di una pace che non rispettasse i passi avanti compiuti negli ultimi 18 anni
«Noi assolutamente intendiamo porre fine a questa guerra assurda. Ne siamo le prime vittime. Eppure, per la prima volta la repubblica democratica resiste da oltre 18 anni. Mi sembra che adesso abbiamo imboccato la strada giusta sulla via della pace e dello sviluppo».