il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2019
Sta arrivando una nuova recessione
Sta arrivando una terribile recessione globale innescata dagli Stati Uniti? Interrogarsi sulla questione è pericoloso. Il premio Nobel per l’Economia Robert Shiller ha scritto un apposito libro, Narrative Economics ( P r i nceton University Press), per metterci in guardia: a forza di parlare di recessione, prima gli investitori e poi i consumatori adeguano i propri comportamenti all’eventualità che la catastrofe arrivi. Gli investimenti vengono rinviati, le assunzioni sospese, i costumi rimandati a quando le nubi si saranno diradate. “La probabilità che una recessione arrivi e la sua intensità dipendono in parte da come si evolve la narrazione collettiva sull’e conomia”, ha scritto Shiller sul New York Times. SENZA SPARGERE pa nico, basta mettere in fila alcuni indizi comprensibili anche al pubblico che non legge i libri di Shiller per accorgersi che qualcosa non va. Ci sono tuoni che presto potrebbero diventare tempesta, resta da vedere di che intensità. Primo indizio: sull’au t ostrada che collega la periferia Sud di Chicago ai parchi naturali dell’Indiana ci sono caselli ogni dieci minuti di auto, in alcuni si paga inserendo la carta di credito in una macchina, in altri c’è un addetto che si fa consegnare la carta, la passa in un lettore magnetico e la restituisce: sono anche questi i posti di lavoro dietro quel tasso di disoccupazione che negli Stati Uniti è così basso da sembrare innaturale: 3,7, sotto il 4 per cento che gli economisti considerano di “pieno impiego” (c ’è sempre qualcuno che è disoccupato tra un lavoro e l’altro). Alla prima frenata dell’economia lavori superflui come lo strisciatore di carte o il pigiatore di bottoni nell’ascensore svaniranno in un attimo. E a pagare saranno le fasce più deboli. Secondo indizio: WeWork è una società che gestisce uffici in condivisione, spazi di c o- w o rk i ng. Sull’onda di q ue l l’entusiasmo che continua a pompare la valutazione di società della sharing economy come Uber, nonostante i miliardi di perdite, doveva quotarsi in Borsa in questi giorni per la valutazione astronomica di 47 miliardi, nonostante finora abbia macinato soltanto perdite (1,2 miliardi nella prima metà del 2019). Nei giorni scorsi WeWork ha dovuto rinviare, forse per sempre, la quotazione per assenza di investitori. La società è valutata ora meno di 15 miliardi e il suo consiglio di amministrazione ha licenziato il presidente e fondatore, Andrew Neumann. Non tutti gli “Unicor – ni”, cioè le start up valutate oltre il miliardo di dollari, riusciranno ad andare in Borsa e a trasformare quella capitalizzazione teorica in soldi veri. Molte si riveleranno bolle di sapone gonfiate dal denaro a basso costo e dalla difficoltà degli investitori a stabilire quali sono le imprese nascenti con il futuro migliore. Il caso di WeWork segnala che il risveglio sta cominciando. Terzo indizio: Netflix continua a scendere in Borsa. A giugno ha comunicato che per la prima volta dal 2011 ha perso consumatori nel suo mercato principale, gli Usa: 126.000 in meno in tre mesi. Un’inezia su 151 milioni, ma è la prima crepa. All’improvvi – so gli investitori si sono accorti che scommettere sul futuro di Netflix è un rischio: certo, ha saputo usare meglio di altri i dati e la profilazione dei clienti, ma ora subirà la concorrenza di Disney, Apple, Amazon Prime Video: tutti quei milioni spesi per produrre contenuti di qualità rischiano di non essere mai ripagati. Se crolla la fiducia nei miracoli futuri promessi dalle società fondate sui dati che da anni bruciano cassa – da Uber ad Amazon – il pilastro del capitalismo americano in versione anni Dieci si sfalda in un attimo. Quarto indizio: la Federal Reserve ha tagliato il costo del denaro per la seconda volta nel 2019, ora è tra l’1,75 e il 2 per cento. Il genere di misura che dovrebbe allentare le tensioni nel mercato finanziario e stimolare l’e conomia per rendere la frenata in corso meno dura. E invece da giovedì la Fed sta continuando a iniettare decine di miliardi di dollari ogni giorno nel mercato perché è in corso una crisi di liquidità senza spiegazioni chiare: nel mercato overnight, quello a brevissimo termine tra banche che compensano debiti e crediti dando titoli di Stato in garanzia, ci sono strane impennate dei tassi. Le banche sembrano non fidarsi l’una Nel 2008 La crisi dei subprime deflagrò col crac Lehman Brothers. Diventò sistemica e aprì la strada alla recessione globale Ansa de ll’altra per prestiti di poche ore. Come nei peggiori momenti della crisi di dieci anni fa, ma questa volta non è successo nulla che possa giustificare tanta diffidenza. LE INCERTEZZEsull’esito della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, scatenata da Donald Trump rischiano di essere il grilletto della recessione. A dicembre, a meno di nuove sorprese, i dazi si faranno sentire anche su prodotti di consumo, togliendo potere d’acquisto agli americani. Ma questo ormai è l’ul – timo dei problemi: l’indice del Fondo monetario che misura l’incertezza nel commercio mondiale è a livelli mai toccati da quando viene misurato oggi è dieci volte il picco precedente, quando a inizio 2018 è iniziata la battaglia dei dazi tra Usa e Cina. “L’effetto combinato delle tariffe imposte lo scorso anno e di quelle annunciate in maggio tra Usa e Cina riduce il livello del Pil mondiale nel 2020 dello 0,5 per cento”, avvertiva a luglio la capo-economista del Fondo monetario, Gita Gopinath. Da allora le cose sono solo peggiorate. E la recessione sembra dietro l’angolo.