25 settembre 2019
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Biografia di Salvatore Accardo
Salvatore Accardo, nato a Torino il 26 settembre 1941 (78 anni). Violinista e direttore d’orchestra. Fondatore del Festival delle Settimane musicali internazionali di Napoli. Ha suonato di tutto: dalla musica barocca, a quella operistica, fino alle avanguardie storiche del ventesimo secolo • «È considerato il più grande violinista italiano della sua generazione» (Treccani) • «Ha ridato vita all’Orchestra da camera italiana ed è anima dei corsi di perfezionamento per strumenti ad arco della Fondazione Stauffer di Cremona. Tiene masterclass urbi et orbi e ha suonato con i più grandi talenti del Novecento» (Vittorio Zincone, 7, 27/7/2017) • «Si definisce “un napoletano intransigente”. E già questo è un ossimoro» • Dice di sé: «Mi considero un predestinato».
Vita «Sono nato casualmente a Torino e lì ho vissuto i primi sette giorni della mia vita. […] Era il ’41, anni di guerra: mio padre era in Germania, mia madre a partorire salì a Torino a casa della sorella, in via Nizza» (La Gazzetta dello Sport, 3/9/2003). I suoi vengono da Torre del Greco, in provincia di Napoli. Sua madre, Ines, fa la maestra; suo padre, Vincenzo, è artigiano: «Incisore di cammei, faceva i ritratti dalle fotografie. Il suo ultimo lavoro furono i presidenti degli Stati Uniti e quei cammei sono a New York, esposti al Metropolitan Museum» (Gazzetta 2003) • «Racconta che a tre anni costruiva con cartone ed elastici giocattoli a forma di violino» (Pierachille Dolfini, L’Avvenire, 14/1/2015). Suo padre è molto appassionato di opera, è insegnante di musica nel tempo libero e cerca di incoraggiarlo • «Mi donò un violino per bambini che acquistò con grandi sacrifici. La mamma ne fu assai contrariata: “Ma quanto l’hai pagato?”, gli chiese, e lui: “Mah, poco, mille lire”. “Mille lire? Ma tu sei pazzo”. Perché mille lire, a quei tempi, con la guerra e la povertà, erano un bel po’ di soldi. Ma con quel violino, con la musica, il mio sogno era divenuto realtà e il mio destino tracciato. Ricordo che allora d’istinto suonai la malinconica colonna sonora dell’epoca, quella della canzone Lili Marleen, e mamma Ines pensò che la radio fosse accesa. Tutti furono meravigliati dalla mia capacità di ripetere sul piccolo strumento le melodie che ascoltavamo in casa» (L’Espresso, 8/1/2014) • «Non ho un ricordo chiaro. Ma da subito, mi raccontano, ci fu la simbiosi con lo strumento» (Dolfini) • «Senza aver preso lezioni? “Sapevo che cosa dovevo fare. Non so come, ma era come se lo avessi già fatto”. Crede nella reincarnazione? “Qualche domanda me la sono fatta”» (Zincone) • «Era il bambino prodigio. “Detesto l’espressione. Mi fa pensare a quei mostri infantili che dilagano nelle trasmissioni televisive. Un bambino prodigio, se non è ben guidato, rischia di avere dei seri problemi di testa. Non mi sono mai sentito un prodigio. Ho fatto una vita normale. Di giochi, di amicizie, e, naturalmente, di studio”» (Antonio Gnoli, la Repubblica, 6/1/2014) • Un amico di famiglia che suona la fisarmonica ai matrimoni gli insegna a leggere la musica. «A 5 anni inizia gli studi con il musicista e pedagogo napoletano Luigi D’Ambrosio» (salvatoreaccardo.it) • «Il talento per la musica è la premessa, ed è uno straordinario regalo che può essere sciupato da un cattivo insegnante, da una famiglia inadeguata o da uno Stato che non fa la sua parte. Il professor D’Ambrosio è stato molto bravo a proteggere il mio. A chi lo rimproverava per l’eccessiva durezza nei miei confronti, rispondeva: non vi preoccupate, questo ragazzo ha il vulcano dentro. Più tardi, capii che era stato severo con me e più indulgente con allievi meno dotati perché da me sapeva di poter pretendere di più» (L’Espresso, 2014) • «Più tardi viene ammesso al Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli. A tredici anni non ancora compiuti si diploma con il massimo dei voti, la lode e la menzione speciale, eseguendo per la prima volta i Capricci di Paganini» (salvatoreaccardo.it). È il suo debutto in pubblico • «Lei si è diplomato a 13 anni e ha trascorso tutta la vita con il violino in mano. “Ma non ho mai vissuto la musica come sacrificio. Non mi sono mai esercitato più di sei ore al giorno”. Le sembrano poche?» (Zincone) • «Non ho mai dubitato delle mie scelte. La musica è stata la mia stella polare. Solo a quattordici anni, per un attimo, ho avuto il dubbio che la mia vita potesse prendere tutt’altra direzione» (a Gnoli). Salvatore, infatti, ama giocare a pallone, è tifoso della Juventus, e vorrebbe fare il calciatore. «Giocavo di nascosto perché mio padre aveva paura che mi ferissi alle mani. Erano soprattutto tornei in spiaggia, ero bravo, specialista nel parare i rigori. Mi videro alcuni dirigenti del Napoli e vennero a casa per parlare con mio padre. Lui li cacciò in malo modo. [...] Papà era un grande appassionato di violino e lo insegnava, chissà come, perché non aveva mai studiato musica. Si era fatto questa idea di mordicchiare le dita agli allievi per far crescere i calli. Voleva farlo anche con me, lo stoppai: “Non ti permettere, sai...”» (La Gazzetta, 2003) • «Guardavo quest’uomo, che suonava il violino per diletto, chino al suo banco dedicarsi con amore a questi piccoli oggetti ovali e penso oggi alla purezza delle sue intenzioni, dei suoi sogni”. Proiettò su di lei la sua ambizione. “È probabile. Ma nulla, senza quel talento che scoprii immediatamente di possedere, sarebbe stato possibile. Senza quello ci sarebbero stati solo dubbi, tormenti, frustrazioni» (Gnoli) • «Negli anni cinquanta ascoltavo i dischi di Francescatti [altro celebre violinista, ndr] con mio padre e gli dicevo: questo è il suono che vorrei. E lui, da buon napoletano, fiducioso negli incantesimi, sosteneva: “un giorno sarà tuo”» (Leonetta Bentivoglio, La Repubblica, 09/04/2006) • Salvatore ha un successo incredibile e tra i quattordici e i sedici anni vince un concorso internazionale dopo l’altro: Vercelli, nel 1955; Ginevra, nel 1956; Siena, nel 1957. «Il conte Chigi Saracini [un famoso mecenate dell’epoca, ndr], lo ammette ad honorem alla sua Accademia Chigiana di Siena, dove Accardo si perfeziona sotto la guida di Yvonne Astruc, allieva e assistente del defunto George Enescu, e familiarizza con i giovani compagni di corso: Claudio Abbado, Daniel Barenboim, Zubin Mehta, Charles Dutoit, Maurizio Pollini […]. Nel 1958, a diciassette anni, vince a Genova il Premio Paganini, che segna l’inizio della sua straordinaria carriera internazionale. Da allora ha suonato in tutte le più importanti sale del mondo, collaborando con le maggiori orchestre internazionali» (salvatoreaccardo.it) • «La cosa che mi ha pesato di più da ragazzo, quando ho cominciato a suonare in pubblico, è stata […] lo spostarsi continuamente. Avrei preferito trascorrere più tempo con gli amici di Torre del Greco» • Quando aveva ventisette anni, nel 1969, si mise dietro le quinte di un teatro di Buenos Aires per sentire da vicino l’Amadeus, uno dei Quartetti d’archi che hanno costruito la storia dell’interpretazione della musica del Novecento (Norbert Brainin e Siegmund Nissel violini, Peter Schidlof viola, Martin Lovett violoncello). In programma c’è l’opera 130 di Beethoven e Schidlof sbaglia l’attacco del terzo movimento dell’opera 130. Nessuno se ne accorge. «Gli applausi non finivano più e l’Amadeus continuava a rientrare in palcoscenico per ringraziare. Poi, dopo l’ultima uscita, con una determinazione calma e rabbiosa, guardandolo bene in faccia, senza dire nulla, senza nemmeno aspettare di ritornare in camerino e di regolare la questione a quattr’occhi, Brainin ha mollato uno schiaffo tremendo a Schidlof. Reazioni? La sua guancia rossa, paonazza. Nient’altro, non una parola, un gesto di risposta. Schidlof si è tenuto lo schiaffo: sapeva perché. […] l’Amadeus pensava di non potersi permettere di sbagliare. […] erano già ai massimi livelli, eppure la coscienza artistica restava vigile, inesorabile, non faceva mai sconti, loro erano i primi giudici di se stessi, i più severi. Quella sera, quasi nascosto in quel palcoscenico, ho capito davvero cosa significa eccellere: non rimuovere mai l’errore, non far finta di niente, anzi renderlo evidente, capirlo, superarlo. Non provare a nasconderlo sotto gli applausi, le recensioni favorevoli, i complimenti degli amici. […] Mi ricordo bene quel lunghissimo silenzio dopo il rumore della mano sulla faccia. E non era una manina» (Sandro Cappelletto, La Stampa, 25/8/2004) • Nel 1970 muore suo padre: «Per me era stato tutto. Aveva 66 anni. Leggevo la felicità nel suo sguardo quando vinsi il primo concorso a 15 anni a Genova. E poi due anni dopo, nel 1958, la più prestigiosa delle mete: il Paganini. Mi abbracciò timidamente quasi preoccupato di spezzare un equilibrio raro. In quel momento compresi che il violino era il prolungamento del mio corpo» (Gnoli) • Nel 1985 entra in possesso dello Stradivari 727 del leggendario violinista Zino Francescatti: «Volle che fossi io a prenderlo. Quando smise di suonare mi chiamò a Marsiglia, dove viveva, per farmelo acquistare. Era il violino che suonava meglio al mondo» (Bentivoglio). «Zino aveva i lucciconi agli occhi. Quando lo suonai per la prima volta il violino andava da solo. Pochi giorni dopo lo utilizzai a New York. Alla fine del concerto un vecchietto si avvicinò e mi disse: “Il suo violinista preferito è Francescatti, vero? Lei stasera aveva proprio il suono di Francescatti”. Rimasi a bocca aperta: lui non sapeva che avevo suonato con il violino di Zino». Era quello amato anche da suo padre, che da buon napoletano credeva negli incantesimi.
Violini Oltre allo Stradivari di Francescatti, possiede un Guarneri del Gesù del 1734 • Nel 1982 per il bicentenario paganiniano ha suonato anche il «Cannone» appartenuto a Paganini in persona • «“Si stabilisce una simbiosi, una storia d’amore. O di odio. Ci sono strumentisti che maltrattano lo strumento, a cui trasmettono le loro nevrosi. Se qualcosa non va ne danno la colpa a lui, lo fanno aprire, ne stravolgono gli accessori. E ogni volta per il violino è un trauma, come un’operazione chirurgica per una persona. Mai sezionare se non è necessario. […] lo curo, lo controllo, ne seguo il benessere in ogni dettaglio. Nelle soste lo metto a riposo allentando le corde, altrimenti restano in tensione. Quando torno a suonare è magnifico ritrovare la nostra relazione, che si arricchisce a ogni incontro […] Ho più confidenza con lo Stradivari. Il Guarneri ce l’ho solo da un paio di anni. Con l’altro ci conosciamo alla perfezione. Generoso e affidabile, e dà sempre tutto ciò che ha. Ci sono violini che suonano meno bene in sale brutte, troppo umide o troppo secche. Lui, invece, offre il massimo ovunque lo suoni. Il Guarneri è più presuntuoso: esige solo sale bellissime» (Bentivoglio) • «Non ne siamo i proprietari definitivi, ne siamo i depositari per un certo periodo e dobbiamo fare in modo che suoneranno come sanno anche quando noi non ci saremo più. Dovranno arrivare nelle mani di altri violinisti nelle stesse condizioni in cui li abbiamo ricevuti noi» (L’Espresso 2014) • «Ha mai suonato un violino elettrico? “Scherza? Mi rifiuto anche solo di appoggiarci una mano”» (Zincone).
Professore È stato docente dell’Accademia Chigiana di Siena dal 1973 al 1981, poi dal 2003 a oggi. Nel 1986 ha dato vita alla scuola di Cremona: «Seleziono ogni anno una quarantina di candidati e ne trovo quattro-cinque di valore. Vedo diplomati con il massimo dei voti che non sanno tenere in mano l’archetto. I giovani devono sapere che con il talento si nasce. Studiando si sviluppa, ma non si crea. Inutile arrivare a vent’anni per scoprire di non averlo, e colpevoli quei docenti che non sanno distinguere […] Sapete che nei Conservatori italiani la musica da camera e la pratica orchestrale non sono materia d’insegnamento? È pazzesco: studiano tutti da solisti. Ma quanti lo diventeranno davvero? [...] All’esame di diploma, è obbligatorio portare i terribili Capricci di Paganini [...] così i ragazzi perdono mesi, si spaccano le mani per ottenere risultati meno che mediocri. In compenso, se non hanno un bravo maestro, ignorano il grande repertorio [...] Per forza i conservatori sfornano disoccupati» (Manuela Campari, il Venerdì, 3/1/1997) • «“La tecnica va imparata perfettamente, bisogna possederla… per poi dimenticarsene”. Per far emergere il talento? “Sì, ma soprattutto per far emergere la musica. Bisogna mettersi al servizio della partitura e non piegare la musica al proprio protagonismo. Ai miei allievi dico sempre di non fare lo show, di essere composti, di evitare di sembrare saltimbanchi. Alle ragazze chiedo anche di non mettere in mostra il loro corpo. Non ha senso distrarre il pubblico esibendo le gambe o altro”. Accardo talebano. “Ma no. Dico solo che la musica deve venire prima. E che i grandi interpreti e compositori non hanno mai avuto bisogno di mettere in mostra se stessi» (Zincone) • Non sopporta i violinisti che vogliono svecchiare lo strumento mixandolo con la musica elettronica («Beethoven va suonato così com’è») ed è iper-critico sulla conoscenza musicale degli italiani: «Quando qualcuno chiede a Riccardo Muti se l’Italia sia ancora il Paese della musica, lui risponde: “No, è il Paese della storia della musica”. “Ha ragione”» (Zincone).
Vita privata Un divorzio alle spalle. «Quel legame ha occupato quasi trent’anni della mia vita. Negli ultimi tempi avvertivo un senso di inadeguatezza e cresceva l’infelicità. Ci siamo separati. Per un po’ ho vissuto disordinatamente. Poi ho incontrato Laura» (Gnoli). Laura Gorna, violinista anche lei, bella e talentuosa, era stata sua allieva. Quando si sono messi assieme lei aveva vent’anni, lui era sulla cinquantina. Lei dice di essere gelosa perché a lui piacciono molto le donne • Il 25 agosto 2008 sono nate due gemelle, Ines e Irene. «Le sue figlie che cosa preferiscono: Beethoven o Rovazzi? “Mi hanno chiesto che cosa penso di Rovazzi, ma ammetto che non l’ho mai sentito cantare. Irene e Ines apprezzano molto l’opera: soprattutto Mozart”. Ascoltano la musica con le cuffie o con gli auricolari? “No. In casa ho ancora i vecchi dischi. Sono un appassionato di riproduzione e di tecnologia acustica: il vinile ha un calore straordinario, insuperato”» (Zincone).
Monegasco Nel 2008 l’Agenzia delle Entrate compilò un elenco di trentadue personaggi famosi con la «residenza fittizia» nel principato di Monaco per ragioni fiscali. C’era anche Accardo: ha accettato le contestazioni del fisco per 171mila euro (Corrado Zunino, 19/3/2008).
Tifoso Suo cugino Otello, diciassette anni più di lui, figlio degli zii di Torino, gli ha inculcato la passione per il calcio: «Fu lui a portarmi allo stadio, al Vomero, a vedere Napoli-Juve, la prima partita della mia vita. Ero bambino, gridavo: “Forza Juventus”, Otello mi corresse: “No, non così. Grida Forza Juve, è più corto, si sente meglio e risparmi fiato”. Detto, fatto. Un tifoso del Napoli lì di fianco mi mise in riga: “Guaglio’, se non stai zitto ti butto abbasso”» • Andava allo stadio con Dino Zoff. Era molto amico anche del giornalista Sandro Ciotti • Sua mamma Ines divenne tifosa dopo gli ottant’anni: «Prima aveva altro da fare: la casa, i figli... quando s’è adagiata ha scoperto la Juve. Guarda tutte le partite e non si accontenta facilmente, è critica da morire» (La Gazzetta dello Sport, 2003) • «Avevo chiamato Juve anche il cane. Una femmina terrier: bianca, bella, una signora» • «Un musicista è come un atleta: i muscoli e i tendini vanno tenuti sempre in movimento, non ci si può adagiare. Soltanto la domenica è sacra. Una volta era la giornata dedicata al calcio, oggi giocano quasi tutti i giorni, ma se c’è la Juve non si sgarra: stadio quando è possibile, altrimenti tv. A casa mia o, se sono fuori città per concerti, in un bar» • «Il top […] risale al gennaio 73: il lunedì mattina ad Hannover erano fissate le prove di un concerto e la domenica si giocava Inter-Juve. Mi costruisco il pomeriggio perfetto: San Siro, aereo su Francoforte prenotato per le 19 ed è fatta. La prima parte va a meraviglia: la Juve vince 2-0 con gol di Altafini e Anastasi, mi fiondo a Linate e scopro che è chiuso per nebbia. Opzione 2: vagone letto. Pieno, così ho viaggiato seduto in treno tutta la notte. Ma ad Hannover sono arrivato in tempo: mezz’ora prima delle prove» • «Platini è una specie di Mozart, Sivori ha avuto lo stesso estro di Paganini, Del Piero è meraviglioso come Schubert, e Boniperti ha avuto la stessa grandezza di Bach» (Goalosi di vittorie, polemiche e magie, Aa. Vv., Limina 2003)
Curiosità È Cavaliere di Gran Croce, la massima onorificenza italiana • Molto popolare in Sudamerica • Abita a Milano, ma è sempre in viaggio (e d’estate passa due mesi a Otranto) • Ha una gatta di nome Medina • Qualcuno ha detto che il violino è lo strumento del demonio: «“In fondo fu Goethe a dire che durante un concerto di Paganini aveva sentito puzza di zolfo”. Ha giovato alla popolarità. “E al fraintendimento. Anche se alla fine la musica resta una forma di possessione”. Non le sembra che lo sia sempre meno? “Forse è vero. È difficile oggi scrivere della grande musica. Gli ultimi sono stati Bartók, Berg, Schönberg, Stravinskij. Dopo sono venuti compositori stupendi come Penderecki, Nono, Berio. Ma non erano più dei geni assoluti […] Si guardi intorno: non c’è più la profondità che scaturiva dall’origine, neppure con il collirio negli occhi riusciremmo a vederne la bellezza. Sto brontolando?” Non mi pare. “Bene. Chiuderei qui se è d’accordo. Ho un appuntamento con un medico”. Per Thomas Mann la musica era una variante della malattia. “Per me la malattia è solo un contrattempo”» (Gnoli).