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 2019  settembre 25 Mercoledì calendario

I pomodori bio dell’Andalusia. Produzione ininterrotta durante tutto l’anno

Non c’è un albero, un fiore, un arbusto. Non un ruscello. E nemmeno il canto di un uccello. La campagna andalusa di Almeria, in Spagna, è una desolante e infinita distesa di serre. Chilometri e chilometri di plastica che hanno invaso la costa, lambito le città, eroso la montagna. Un inferno dove regna indiscusso il pomodoro bio.D’estate come in inverno, la produzione intensiva è ininterrotta su 33 mila ettari di superficie: l’equivalente di 47.134 campi di calcio, tre volte l’area di Parigi. D’inverno, quando la produzione è ferma in gran parte d’Europa, nel Sudest della Spagna gira a pieno regime e il pomodoro andaluso inonda gli scaffali delle insegne della grande distribuzione in Europa.
In pochi anni la Spagna è diventata il primo produttore ed esportatore di frutta e ortaggi bio: oltre al pomodoro, lamponi, zucchine, melanzane, cetrioli, angurie. E tutte le strade portano ad Almeria. Il biologico è diventato una sfida strategica in una regione dove l’agricoltura intensiva è da oltre mezzo secolo il primo settore economico e rappresenta il 40% del pil. Dal 2010 la superficie dedicata alla produzione biologica è più che triplicata per raggiungere i 3.300 ettari (il 10% della superficie totale) e le stime di crescita scommettono sui 5 mila ettari entro il 2024. Nel 2018 oltre 108 mila tonnellate di prodotti bio sono usciti dalle serre di Almeria e quasi la metà erano pomodori. Il 75% di questi prodotti è partito per l’estero a bordo di camion. Direzione: Germania, Francia, Regno Unito, i tre mercati principali.
Nelle serre di Almeria lavorano incessantemente tra 80 mila e 100 mila lavoratori, in maggioranza migranti. All’ispettorato del lavoro le cause tra i lavoratori e le imprese del biologico si moltiplicano. E raccontano di giornate che non finiscono mai, di ritmi infernali, di remunerazioni inferiori al minimo sindacale, di straordinari e congedi non pagati, di anzianità annullate. Le condizioni di lavoro sono difficili sia nelle serre surriscaldate sia nei depositi di stoccaggio, dove lavorano alla catena, per la maggior parte del tempo in piedi, almeno 20 mila operaie. Nelle serre spagnole inoltre è massiccio il ricorso allo zolfo, autorizzato nell’agricoltura biologica: molti lavoratori lamentano allergie e irritazioni.
La provincia di Almeria conta il 20% di immigrati, il doppio della media nazionale. Le opportunità di lavoro nel settore ortofrutticolo favoriscono in maniera esponenziale l’ingresso irregolare di stranieri. E le condizioni dei lavoratori delle serre bio cominciano a preoccupare anche fuori dai confini spagnoli, soprattutto in Germania, il primo importatore. All’inizio dell’estate il deputato verde Anton Hofreiter si è recato ad Almeria per verificare se «i frutti e gli ortaggi che noi mangiamo tutto l’anno siano prodotti in condizioni di lavoro dignitose e nel rispetto dell’ambiente». Dopo un incontro con i lavoratori locali e una visita alle bidonville che circondano le serre, Hofreiter ha dichiarato lapidario: «È uno scandalo!».
Nel frattempo il deserto avanza e la biodiversità, che dovrebbe essere uno dei pilastri dell’agricoltura biologica, è scomparsa. Il sistema di irrigazione a goccia, vanto dei produttori andalusi, ha sì permesso di ridurre il consumo di acqua, ma per fare crescere un chilo di pomodori sono sempre necessari 50 litri d’acqua. E allora si pompano le acque sotterranee, ogni volta più in profondità. A ben vedere, in questa regione della Spagna l’agricoltura biologica ha quasi lo stesso impatto sull’ambiente di quella convenzionale.