La Stampa, 25 settembre 2019
Proust pagava per avere buone recensioni
Cent’anni fa Marcel Proust vinceva a sorpresa il Goncourt con All’ombra delle fanciulle in fiore, il secondo volume della Recherche, pubblicato da Gallimard – che nella sua Galerie a Parigi gli dedica una bellissima mostra. Ma intanto tornano alla luce gli originali delle lettere all’amico René Blum, in cui manifestava, con lo snobismo aristocratico e un po’ capriccioso che lo contraddistingueva, proprio un certo distacco, non del tutto sincero va da sé, per il premio. Era il 1913, e lo scrittore era ancora in cerca di un editore, perché Gallimard aveva respinto (senza leggerlo) il monumentale manoscritto.
Proust aveva così inoltrato una proposta a Grasset, giovane casa in carenza di capitali, offrendosi di pagare le spese. Aggiungeva, per rendere più appetibile la cosa, che se il signor Grasset ne avesse avuto piacere, lui avrebbe fatto in modo di presentare l’opera «a un qualche Goncourt – e lo dico un po’ a caso perché non so davvero molto bene che cosa sia il premio Goncourt». La lettera fa parte di un lotto da cui Christie’s pensa di ricavare parecchie centinaia di migliaia di euro. Sono i fuochi d’artificio del centenario, che vede anche la pubblicazione di una serie di racconti giovanili, questi inediti, a tema omosessuale.
La corrispondenza invece non è del tutto sconosciuta, perché in buona parte pubblicata nel ’54 col titolo Proust et la stratégie littéraire, a cura di Léon Pierre-Quint (ora tornano in edizione tascabile, in Francia per Grasset). Quelle lettere si erano poi, per così dire, inabissate in una grande collezione privata. Ora che si riaprono le teche, ecco che quell’antica vicenda fatta di arroganza e timidezza torna d’attualità e, diciamolo, incanta media e lettori.
Proust non fu il solo grandissimo a pagare; basti pensare, in Italia, a Moravia o Gozzano. Come loro, aveva però una grande sicurezza di sé e del proprio valore. Stava scrivendo il Tempo perduto e non aveva tempo da perdere. Così, sempre in una lettera a Blum, chiarisce le proprie ragioni: «Se il signor Grasset edita il libro a sue spese, lo legge, mi fa aspettare, mi propone dei cambiamenti, come di spezzarlo in piccoli volumi...». Meglio dunque che incassi e pubblichi senza nemmeno guardare il manoscritto: come Grasset fu ben felice di fare.
La disinvoltura dello scrittore tuttavia non si fermò lì. Continuò a pagare, questa volta le prime recensioni, come emerge dalle lettere riscoperte in originale: spese 300 franchi – all’epoca una bella sommetta – per il Figaro e 660 per il Journal des débats. Recensioni entusiastiche. In qualche caso pare se le scrivesse da solo, le lodi: per esempio, paragonandosi a Dickens. Accostamento davvero interessante