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 2019  settembre 25 Mercoledì calendario

Tumore, è importante la diagnosi precoce

Stiamo raccogliendo finalmente i frutti di campagne di screening più efficaci e di una maggiore consapevolezza della popolazione sull’importanza della prevenzione primaria». È così che Paolo Veronesi, professore del reparto di Senologia Chirurgica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e presidente della Fondazione Umberto Veronesi, commenta il calo delle nuove diagnosi di cancro e l’aumento dei «sopravvissuti» in Italia.
Professore, cosa ha fatto la differenza quest’anno?
«Per capire la reale portata di questi dati bisognerebbe fare un ragionamento più ampio e che vada indietro nel tempo. Un numero minore di nuove diagnosi di cancro potrebbe ad esempio essere attribuito a un numero maggiore di diagnosi precoci negli anni precedenti. Mi spiego meglio: quando si introducono nuove metodiche di screening o si estendono gli screening ad altre fasce della popolazioni, i numeri dei tumori che vengono individuati inizialmente è maggiore e poi diminuisce con il tempo. È probabile ad esempio che i nuovi casi che avremo individuato quest’anno siano stati invece diagnosticati precocemente negli anni precedenti».
Può farci qualche esempio?
«È possibile ad esempio che il tumore del colon-retto, che rimane comunque una delle neoplasie più frequenti in Italia, sia stato diagnosticato di meno quest’anno perché negli anni passati sono stati individuati più casi grazie all’estensione dell’esame delle feci per la ricerca del sangue occulto alle persone dai 50 anni in su. Mentre risultano esserci più nuovi casi di tumore alla mammella perché si fanno più screening e gli esami vengono fatti a partire dai 45 anni d’età e non più dopo i 50 anni. Questo non significa però che non siano stati fatti progressi anche in altri ambiti».
Quali?
«Oggi ci sono meno forme tumorali, in passato molto frequenti: siamo riusciti a individuare e a contrastarne le origini infettive. Pensiamo al tumore allo stomaco, oggi in calo. Sappiamo che uno dei fattori di rischio è l’Helicobacter pylori: grazie alle terapie antibiotiche oggi possiamo contrastarlo prima che possano causare lo sviluppo del tumore. Un discorso simile possiamo fare per il cancro al fegato. Grazie ai nuovi farmaci in grado di curare persone affette dall’Epatite C, oggi questa infezione causa sempre meno casi di cancro».
Ci si ammala di meno anche perché siamo più attenti alla prevenzione?
«Sì. È possibile che le tante campagne informative che abbiamo fatto in questi anni siano servite a ridurre i fattori di rischio, come il fumo, l’alcol, l’alimentazione scorretta, l’inattività fisica e così via. Certo, l’obiettivo è stato raggiunto parzialmente. Basta pensare al tumore dei polmoni, la neoplasia che uccide di più in Italia. A fronte di un importante calo negli uomini, è in aumento nelle donne a causa proprio del fumo di sigaretta».
Su quali altri tumori siamo ancora indietro, come prevenzione e cura?
«Il tumore al pancreas su tutti. Perché oggi, contro questo cancro, non abbiamo strumenti per la diagnosi precoce e terapie efficaci. Si sta lavorando molto ma al momento i risultati sono deludenti».
A parte i «big killer», come il cancro al pancreas, si sopravvive di più al cancro. Cosa è cambiato rispetto al passato?
«Oltre alla diagnosi precoce, che può fare la differenza nel riuscire a sconfiggere il cancro, oggi abbiamo a disposizione una moltitudine di trattamenti che se non hanno sconfitto il cancro ci hanno permesso di trasformarlo in una malattia sistemica con cui sopravvivere. Ci sono ad esempio centinaia di migliaia di donne che convivono con un cancro alla mammella, quando prima non c’era scampo. Grazie alle terapie ormonali, ai farmaci biologici e molecolari, e all’immunoterapia il cancro è diventata una malattia cronica e questo è un risultato eccezionale».
Ma qual è il prezzo da pagare in termini di qualità della vita?
«I farmaci nuovi consentono anche una buona qualità della vita. Prima, quando ci trovavamo dinanzi a un tumore incurabile sparavamo altissimi dosaggi di chemioterapia. Oggi abbiamo capito che questa strategia, non solo non funziona, ma compromette gravemente la qualità della vita dei pazienti. Oggi i dosaggi sono sempre più bassi e accettabili, gli effetti collaterali minori. Forse è questo il risultato più importante della ricerca».