la Repubblica, 25 settembre 2019
Grillini contro Di Maio
ROMA – Stavolta sono arrivati “armati”, i nemici interni di Luigi Di Maio. Decisi a centrare quel putsch vagheggiato all’indomani della débâcle alle Europee e mai però realizzato: la destituzione del capo politico. Accusato – come negli ultimi mesi era già accaduto – di aver accumulato troppo potere. Di esercitarlo in splendida solitudine con la sponda di Davide Casaleggio e della piattaforma Rousseau, ormai utilizzata – questo il capo d’imputazione – come specchietto per le allodole di scelte calate dall’alto (vedi l’alleanza col Pd, soprattutto in Umbria) anziché strumento di vera democrazia diretta. Di voler ricoprire troppi ruoli. Con il rischio di lasciare il Movimento senza guida, specie ora che il leader di Pomigliano è ministro degli Esteri e sarà spesso fuori Italia. Ieri pomeriggio, in quella sentina di rancori e malcontento che è diventato il gruppo Cinquestelle a Palazzo Madama, il senatore Emanuele Dessì si è presentato con un documento di poche righe e una proposta chiara: mettere subito ai voti la modifica statutaria per sostituire Di Maio con un organo collegiale a dieci. Però non si può fare, frena subito il vicecapogruppo Gianluca Perilli, ci sono delle procedure da rispettare. Ma la fronda è agguerrita: subito partirà una raccolta firme per chiedere ciò che non si può più rinviare e, insieme, l’appello a Beppe Grillo perché ci pensi lui a rimediare. L’innesco utile per accendere la miccia e trasformare l’assemblea dei senatori, convocata per stabilire il percorso che entro metà ottobre porterà all’elezione del nuovo direttivo, in un processo al capo grillino. Tra assenze pesanti (Paola Taverna) e qualche timidezza di troppo, i falchi hanno buon gioco a orientare il dibattito contro Di Maio. Condensando il malumore storico degli ortodossi alla Nicola Morra – «Lo dico da sempre, Luigi non può fare tutto da solo, serve più condivisione» – con l’ira funesta degli (ex) fedelissimi, Barbara Lezzi e Michele Giarrusso su tutti, rimasti esclusi dal governo. Il silenzio degli uomini un tempo più vicini come Danilo Toninelli (capogruppo in pectore), fa il resto. Segno che il lavorio ostile di Alessandro Di Battista ha scavato a fondo. Una rivolta che finisce per coinvolgere il figlio del co-fondatore: reo di agire in combutta con l’inquilino della Farnesina pur di perseguire i suoi interessi, a scapito del Movimento. «L’utilizzo della piattaforma Rousseau va precisata e rafforzata, le decisioni non possono essere rimesse sempre alla discrezionalità del capo», tuona Giarrusso. «Il potere si tramanda di padre in figlio solo nelle monarchie o nelle dittature, ma la storia insegna che finiscono sempre nel sangue. Ma siccome viviamo in un’epoca diversa, per il nostro caso sarà sufficiente un grosso vaffa alla Grillo». È lui, il garante, l’ancora cui aggrapparsi per affondare Di Maio. «Serve più collegialità, tornare allo spirito originario» è il grido di battaglia. «È ora di introdurre il principio democratico dell’elezione dal basso verso l’alto di tutti i livelli, organi e cariche», esorta Primo Di Nicola. Perciò occorre modificare lo Statuto oltretutto «scritto da Luca Lanzalone», l’ex presidente Acea a processo per corruzione, «che presenta vari profili di nullità perché contrasta coi nostri principi, a cominciare da quello che vieta il cumulo degli incarichi», argomenta da giurista Ugo Grassi. Il capo politico, in missione negli States, sembra spiazzato. «Luigi è all’assemblea delle Nazioni Unite, sta pensando al Paese», taglia corto l’entourage, ricordando come il processo di riorganizzazione del Movimento sia stato già avviato. Nel frattempo scatta la contraerea a difesa. «Il sale della democrazia è il confronto, in cui tutti possono dire la loro e vengono ascoltati» minimizza Morra. «Luigi ha portato il M5s al 33%, siamo al suo fianco» fa eco il senatore Vaccaro. «Piena fiducia» testimonia Coltorti. Insieme a molti altri. Rimasti però zitti in assemblea. E ora il gruppo alla Camera, dove in 11 si sono candidati per fare il capogruppo (dal favorito Francesco Silvestri ad Anna Macina passando per Giorgio Trizzino) potrebbe fare il bis. Contro il capo sia gli scontenti del governo sia chi non ha ottenuto un ruolo