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 2019  settembre 25 Mercoledì calendario

La passione popolare per il contante

Premiare chi usa la carta di credito invece di colpire chi usa il contante è una trovata all’italiana che neppure il Foucault di “Sorvegliare e punire” poteva immaginare. È vero che il contante facilita l’evasione e di per sé non è ancora un reato, ma se andassimo avanti così, invece di punire chi commette delitti, misfatti e infrazioni, finiremmo con il remunerare chi non li commette. Dunque daremo ricompense a chi mangia con le posate, a chi non sputa per terra, al comandante che non abbandona la nave, a chi dà la precedenza e a chi si comporta seguendo le buone maniere. Di sicuro c’è un’efficacia finalmente nuova, da realismo rassegnato, nel gratificare la normalità come fosse una virtù e dunque nel trasformare la carta di pagamento in un sacrificio pagato. Anche se va ricordato che, in Italia, la caccia all’evasore e la guerra al contante in nero, come la caccia al cinghiale, hanno il loro calendario stagionale e dunque ricominciano ogni volta che cambia il governo e ogni volta che ci si avvicina alla legge finanziaria. E diciamo la verità: l’Italia ha già sperimentato le soluzioni più strampalate, ma sempre con l’idea che siamo un Paese di sudditi infidi e di carte false. Ricordo bene gli anni in cui multavano – “da centomila lire ai due milioni” – il consumatore che non conservava lo scontrino fiscale “nel luogo della prestazione e delle sue adiacenze”. Tanto che nella Napoli dei mille mestieri inventarono la figura dell’Accompagnatore Fiscale, un impiegato di concetto che appunto accompagnava i consumatori che vanno sempre di corsa, dal bar all’ ufficio, dal panettiere all’ortolano, fornendo agli eventuali finanzieri tutte le dovute ricevute fiscali, che erano sempre le stesse. Multare i consumatori significava com’è ovvio trasformarli in cacciatori di evasori – anche se piccoli piccoli, da bar e da caffè – con tutti quei coriandoli di cartuzze nei taschini e nei portafogli che provavano l’innocenza del cittadino-commerciante sempre sospetto, sempre colpevole fino a prova contraria. Adesso invece nell’idea del premio c’è, innanzitutto, un segnale di pacificazione, un piccolo passo per combattere, com’è giusto, l’evasione ma togliendo alla Stato le caratteristiche del cerbero, del minosse, del catone, del fustigatore e del secondino. Ed è come se lo Stato avesse capito che nessuna sanzione, nessun divieto potrebbe imporre agli italiani di diventare come gli inglesi, gli austriaci, gli svedesi, i tedeschi… che ricorrono pochissimo al contante, ma – ci si dimentica di aggiungere – non hanno limiti di legge nell’usarlo. Dal sesterzo al dollaro, dalle pecore (pecus, pecunia) all’euro, il rapporto tra i popoli e il danaro non è mai solo fiscale, ma dipende dalla storia e dalla memoria collettiva. E allora forse non c’è troppo da stupirsi che, malgrado l’uso delle carte di credito sia in crescita, siano ancora tantissimi – uno su sette, dicono gli esperti, ma sono dati discutibili – gli italiani che non si fidano del danaro virtuale perché lo vogliono toccare, accumulare e anche nascondere in casa come faceva Peppino che, per sottrarlo a Totò, lo infilava sotto il mattone. Insomma, non solo i riciclatori e gli evasori, ma anche tanti buoni italiani preferiscono ancora i contanti, e non sono certo tutti di destra e neppure tutti avari, tutti Paperoni che si fanno la doccia con i dobloni al posto dell’acqua. Gli italiani conservano un rapporto di diffidenza con l’astratto, con il danaro che non c’è: il pagamento virtuale è ancora quello dell’imbroglione Alberto Sordi che al tavolo da gioco dice «diecimila» e, quando gli rispondono «le metta!», stupito apre la mano vuota e mormora ridendo: «sono caduti». C’è pure una sfiducia antica nelle banche, alle quali già le nostre nonne preferivano “il libretto della Posta”. Oggi nell’Italia populista sono il nuovo nemico da abbattere e le carte di credito sono viste – da tanti tassisti a Roma e nel Sud per esempio come lo strumento della rapacità delle banche, un pizzo legalizzato che ingrassa le famose élites sovranazionali. E siamo tutti nipotini del mercato nero che fu la soluzione disperata, durante la guerra e l’occupazione, per sopravvivere alle bombe e ai divieti. Anche nel dopoguerra l’Italia che si arrangiava, risparmiava e costruiva case di ogni di genere affidate ai geometri, pagava in contanti e a cambiali. Forse in nessun altro paese come in Italia il danaro è ancora la merce universale di Marx, la filosofia di Simmel (il libro da rileggere è La filosofia del danaro ), ma anche la carta sporca, piena di germi, che passa di mano in mano e rassicura ed eccita, persino con il suo fruscio, anche quando è il corpo del reato, il contante nella bustarella o in fondo al borsello nero, i bigliettoni imbottiti nel pouf dello scandalo sanità, nascosti in mezzo a un giornale, allineati nella scatola di scarpe. Ma se in tutto il mondo l’abbondanza di contante sta acquattata, come i vermi nel formaggio, soprattutto nei portafogli dei criminali, i soli che non temono le rapine – ricordate l’inizio e la fine di Pulp Fiction ? – in Italia, nel Paese del Papa, il contante è l’ultima sacralità pagana, è la roba di Verga che fa suonare il gong della passione, è quella certezza di libertà che spingeva gli intellettuali di sinistra a fare “come Sartre” che si portava dietro tutti i soldi sempre in tasca, arrotolati con l’elastico, mentre al contrario i grandi imprenditori come l’avvocato Agnelli non avevano alcun rapporto fisco con il danaro, niente di niente nel portafoglio. L’Italia del danaro è ancora quella raccontata da Manzoni: «Nei Promessi sposi –, diceva il manzoniano Gadda – si parla sempre di denaro: tante berlinghe, tante parpagliole, tanti scudi». Luigi Einaudi, anch’egli manzoniano, definiva quel romanzo sul matrimonio che è anche patrimonio «uno dei migliori trattati di economia politica che siano mai stati scritti». Ebbene, quando la mamma di Lucia riceve cento scudi dal cardinale Borromeo corre a casa e passa il tempo contando e ricontando i soldi, poi li avvolge in un cencio e li nasconde nel materasso, e di notte se li sogna pure. Quanti incentivi e premi ci vorranno per portare Renzo e Lucia alla civiltà della carta di credito? Per convincerli che la tracciabilità non viola la privacy e che ci sono soluzioni anche per proteggere la delicata malinconia dei pasti e dei pernottamenti adulterini? Seguiremo le puntate. L’inizio sembra promettente. Anche se, come effetto collaterale, vediamo già montare due nuove sciocchezze, diciamo così ideologiche: la prima è che i grandi evasori non usano la carta di credito; la seconda è che la carta di credito è di sinistra mentre il contante è di destra.