la Repubblica, 25 settembre 2019
Reddito di cittadinanza, una discriminazione ingista verso gli immigrati che sono ormai quasi italiani
C’è una bomba ad orologeria nel reddito di cittadinanza. Bene che il nuovo governo la disinneschi prima che sia troppo tardi. Ha pochi giorni per farlo. Come noto, nella legge di conversione del decreto che ha istituito quota 100 e reddito di cittadinanza, la Lega ha inserito una clausola che esclude di fatto gli immigrati extra-comunitari dall’accesso al reddito di cittadinanza. Dovranno infatti produrre «apposita certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’autorità consolare italiana» sulla loro idoneità a ricevere il sussidio. Come se gli italiani indigenti che ricevono i buoni pasto negli Stati Uniti dovessero prima ottenere un certificato del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali italiano che attesta la loro ammissibilità al sussidio e poi farlo tradurre in inglese con certificazione di autenticità del proprio consolato! Sono documenti che non sono di fatto disponibili in alcun Stato estero, non tenuto a conoscere i criteri di ammissibilità a sussidi concessi in altri Paesi. Meno che meno sono ottenibili questi certificati nei Paesi di provenienza dei nostri extra-comunitari, i cui gruppi più numerosi provengono da pPaesi come Burkina Faso, Costa d’Avorio, Eritrea, Ghana, Mali, Nigeria, Senegal e Somalia. È una norma introdotta al solo scopo di impedire a queste persone, quasi italiani perché residenti da 10 anni in Italia e che hanno spesso lavorato e versato i contributi all’Inps, di avere una rete di protezione sociale che li aiuti in caso di necessità. L’unica colpa che hanno è quella di essere nati al di fuori dell’Unione europea. Questa odiosa discriminazione è già stata segnalata anche su queste colonne e ha fatto sì che, nonostante un quarto delle famiglie povere in Italia sia composta da soli stranieri, gli immigrati sono solo l’8 per cento dei beneficiari del reddito di cittadinanza. Meno noto il fatto che oggi sono 170.000 i cittadini extracomunitari che hanno già il reddito di cittadinanza, essendo questo stato loro concesso prima della conversione in legge del decreto o con trasformazione del precedente reddito di inclusione in reddito di cittadinanza. Queste persone hanno avuto 6 mesi di tempo per ottenere le certificazioni necessarie per adeguarsi alla nuova normativa. Da fine settembre si vedranno sospeso un trattamento assistenziale che ha un peso considerevole sul loro bilancio famigliare (in media ricevono 450 euro a nucleo) e cui si sono abituati perché in non pochi casi ne beneficiano da più di un anno. Il tutto senza alcuna prospettiva di riottenerlo perché dovrebbero produrre una certificazione che non esiste. Quel che è peggio è che saranno perfettamente consapevoli del fatto che si tratta di una discriminazione vera e propria perché solo a loro viene chiesto – per essere aiutati in caso di indigenza – di produrre certificazioni che non sono in alcun modo disponibili. L’esperienza di altri Paesi ad immigrazione meno recente della nostra ci segnala gli effetti devastanti sulla coesione sociale di bruschi tagli ai sussidi destinati a persone in condizioni di indigenza e che da tempo contavano su questa fonte di reddito. Ad esempio la decisione della Danimarca di tagliare del 50% i sussidi ai rifugiati ha portato con sé un aumento dei piccoli furti e dei taccheggi nei negozi commessi da uomini e donne che hanno subito, a seguito di questo provvedimento, una forte riduzione del proprio reddito disponibile partendo già da condizioni di forte disagio sociale. L’aggravante nel nostro caso è che si tratta di una misura palesemente discriminatoria, introdotta al solo scopo di escludere gli immigrati dall’accesso al reddito di cittadinanza, se non volutamente di aumentare le tensioni fra italiani e immigrati. Come già avvenuto altrove, queste scelte allontaneranno gli immigrati di seconda generazione dal nostro sistema educativo, rimandando a terze o quarte generazioni la loro integrazione nel nostro tessuto sociale. Il governo Conte II si è presentato come un governo attento alla coesione sociale. Vediamo se dimostrerà su questo piano una forte discontinuità col Conte I. La cosa minima da fare è utilizzare lo spazio consentito dalla stessa legge di conversione del reddito di cittadinanza: prevede infatti che venga stilato un «elenco dei Paesi nei quali non è possibile acquisire la documentazione necessaria» esonerando gli extracomunitari provenienti da questi Paesi da quella che è a tutti gli effetti una mission impossible. Basterebbe mettere in questo elenco tutti i Paesi del mondo al di fuori dell’Unione europea. Il vantaggio è che un’operazione di questo tipo si può fare subito prima che scatti la tagliola: è sufficiente un decreto interministeriale dei ministri del Lavoro e degli Affari esteri. Nel frattempo si potrebbe intervenire per cambiare la norma primaria. Sarebbe anche l’occasione per riformare il reddito di cittadinanza che penalizza le due categorie in cui la povertà è cresciuta di più negli ultimi anni, giovani con figli e immigrati, e non riesce a promuovere l’inserimento nel mercato del lavoro. Valuta implicitamente il costo di un figlio 40 euro al mese dato che una famiglia povera con sei componenti riceve, in media, solo 200 euro in più di una famiglia con un solo componente. Sin qui non c’è stata alcuna attivazione: i navigator sono senza bussola e, non essendoci più il filtro dei Comuni, sono state convocate ai Centri per l’impiego molte persone in condizioni di marginalità sociale che non sono obiettivamente in grado di lavorare. Nel rivedere la norma si dovrebbero anche introdurre incentivi automatici alla ricerca di lavoro: gli importi dovrebbero tenere conto delle differenze nel costo della vita, come le soglie di povertà dell’Istat, e i beneficiari non dovrebbero più perdere un euro di sussidio per ogni euro che guadagnano con il loro lavoro.