Corriere della Sera, 25 settembre 2019
In crisi la leadership di Di Maio
ROMA Aveva appena varcato i confini del suolo patrio, Luigi Di Maio, quando contro di lui è cominciato un bombardamento fittissimo e inedito. Una rivolta in piena regola di un gruppo di senatori, che unisce molti dei big di vecchio conio, umiliati e offesi per il nuovo corso governativo e per un ricambio mai giustificato né lenito da scuse o altri rimedi. In prima fila nei tumulti, Nicola Morra, Danilo Toninelli e Mario Giarrusso, anche se tra i fortemente scontenti ci sono anche Giulia Grillo e Barbara Lezzi. Il vulcanico senatore siciliano è il più violento nello sparare contro Di Maio. Ma è Emanuele Dessì che propone un comitato a dieci, con i capigruppo e Beppe Grillo e raccoglie 70 firme (su 107) per indire un’assemblea che modifichi il regolamento e attribuisca alla stessa la possibilità di modificare lo Statuto (possibilità ora che è solo del capo politico).
La riunione viene convocata per discutere dei nuovi capigruppo. Alla fine per la Camera si candidano Anna Macina (spalleggiata da Sergio Battelli), Francesco Silvestri (con il dissidente Riccardo Ricciardi) e altri nove deputati Cinque Stelle. Al Senato si decide di prorogare. Ma l’assemblea è il pretesto per una jacquerie contro Di Maio. Nicola Morra, presidente dell’Antimafia, rilancia una sua vecchia idea: quella di una modifica dello statuto per allargare la leadership.
Una bomba che viene raccolta e rilanciata da molti. Primo Di Nicola spiega: «Le nostre regole ormai stridono fortemente con i principi della democrazia che rivendichiamo. Di Maio non è il problema, anzi non è mai stato accentratore né autoritario, ma io credo che non sia accettabile che le cariche più alte non siano elettive. È arrivato il momento che Grillo e Casaleggio facciano un atto di generosità e regalino il Movimento al Movimento».
Liberalità che, al momento, non sembra affatto in programma. Per questo Giarrusso prende il toro per le corna e rilancia l’idea di sostituire il capo politico con un comitato a dieci. Una sorta di comitato centrale. Il senatore chiede un passo indietro di Di Maio e avverte: «Stanno svendendo i principi del Movimento». Poi se la prende con Danilo Toninelli, a dimostrazione che il fronte dei rivoltosi non è compatto: «Toninelli deve raccontarci per filo e per segno come mai abbiamo mandato a quel paese 6 milioni di elettori. Non abbiamo bisogno di ulteriori ambiguità». Segnale che la candidatura di Toninelli viene letta da alcuni come un compromesso con i vertici. Sono in diversi a chiedere che Di Maio lasci gli incarichi: «Se sta alla Farnesina come si può occupare del Movimento?»; «Che fine hanno fatto i facilitatori?». Qualcuno chiede che Grillo arrivi a Roma e salvi «la patria». In Senato cova un astio che è cresciuto nelle ultime settimane e che ha fatto parlare di una scissione possibile. Per ora è difficile che avvenga, ma intanto si segnala una Lezzi attivissima, che convoca una riunione al giorno e fa da sponda con Alessandro Di Battista, il convitato di pietra dell’assemblea. Interviene anche Stefano Lucidi, critico sull’Umbria: «Tra poco votiamo e non sappiamo nulla, non c’è uno straccio di programma, come si fa?».
Ma ci sono anche senatori a difesa di Di Maio, come Mauro Coltorti, Sergio Vaccaro e Marco Croatti. Conclude Morra: «Nessuna lite, solo un esercizio di democrazia». Quella che, per ora, pare mancare del tutto nel Movimento.