Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 24 Martedì calendario

La rimonta Ferrai

A ogni sconfitta o vittoria mancata, da Melborne all’Hungaroring, Mattia Binotto cercava di spiegare, con calma e razionalità, a che punto era la Ferrari. «Vedrete che ci arriveremo», «siamo una squadra giovane, diventeremo grandi». O ancora: «Stiamo crescendo, dateci il tempo». Dopo la notte magica di Singapore non c’è più bisogno di parole. Sono arrivate tre vittorie consecutive come quelle della F2008 di Massa e Raikkonen che vinse il Mondiale costruttori, ultimo titolo della storia del Cavallino: il puzzle è stato completato, piloti, squadra e macchina sono tornati competitivi.
Trasformazione dopo la pausa
E dire che alla pausa estiva la Rossa era arrivata con zero successi e l’onta di un ultimo ko pesante: oltre un minuto di ritardo al traguardo del Gp di Ungheria. Invece di migliorare, la SF90 involveva. «Al rientro da Budapest abbiamo fatto i salti mortali per anticipare i tempi – racconta il team principal -. Gli sviluppi che abbiamo portato a Singapore erano attesi più in là».
Una sfida nella sfida, inconsueta a questo punto della stagione quando ormai è tempo di bilanci: la Mercedes bada a proteggere il vantaggio in classifica, la Red Bull ha come obiettivo il secondo o terzo posto di Verstappen, entrambe dirottano sempre più risorse sul progetto 2020. Non così la Ferrari, che ha investito per trasformare la SF90 in un fulmine quando ormai la rincorsa al Mondiale è quasi impossibile (a Hamilton basterebbero 6 quinti posti per tenersi dietro Leclerc e Verstappen). Sarà una scelta che condizionerà in negativo la prossima stagione? Binotto dice di no, perché il lavoro fatto ora sarà riversato sulla nuova monoposto che sta nascendo in fabbrica.
La valorizzazione della squadra
Anche la scelta e la gestione dei piloti non è stata facile. Arrivabene avrebbe tenuto Raikkonen, Marchionne (e Binotto) hanno imposto Leclerc: un ragazzino di 21 anni promettente ma inesperto, rompiscatole il giusto, un po’ fuori dagli schemi del Cavallino. Se era una scommessa, è stata vinta con tutto il jackpot. In realtà è stata una scelta ragionata: telemetrie e analisi certificavano già dal 2018 che Leclerc è un fenomeno, come ha confermato nel corso della stagione e in particolare nelle ultime tre gare. Più complicata ancora si è rivelata la gestione di Vettel, un campione abituato ad avere la squadra intorno a sé che di colpo si è ritrovato in casa un avversario velocissimo. Ed è caduto in depressione. La strategia adottata nel Gp di Singapore, oltre a blindare la doppietta, ha regalato a Vettel il successo, il sorriso e la voglia di restare a Maranello. La Ferrari avrebbe potuto far vincere comunque Leclerc? Forse, ma con il senno di poi ha fatto bene: non era in ballo il Mondiale, ma la serenità, e quindi la prestazione, di un pilota che ha ancora molto da dare.
Terzo successo di Binotto: la squadra. Non sono arrivati nomi a effetto. Il team principal ha continuato quel processo di valorizzazione che già ha portato lui, assunto nel ‘95 come stagista, fino al vertice della Ges, la mitica gestione sportiva. «Abbiamo tecnici molto bravi cresciuti a Maranello. Il mio obiettivo è creare un top team come ai tempi di Schumacher», sosteneva Binotto nei mesi di crisi. Non era l’oste che parla del proprio vino, è la Ferrari che è tornata.