La Stampa, 24 settembre 2019
Le riforme drastiche che non avremo
Il precedente governo bloccava l’economia con l’ansia di promesse irrealizzabili. L’attuale governo fa promesse più ragionevoli, eppure stenterà a soddisfarle, date le costrizioni che trova. Nel passaggio dall’uno all’altro, risalta la fragilità della politica italiana, tanto incline a spararle grosse nella ricerca di consenso, quanto timorosa di ogni più piccolo dissenso.
Gli ultimi dati congiunturali annunciano un 2020 difficile per l’Europa, dando ragione a Mario Draghi e torto ai suoi critici tedeschi e olandesi. In Italia rischiamo un secondo anno di stagnazione dopo questo. La minor crescita toglierà risorse al bilancio, benché per converso renda più agevole un compromesso con la Commissione europea.
Continueremo per giorni a leggere di miliardi che ancora mancano per far tornare le cifre, pur se al momento i propositi del governo Conte 2 per la manovra 2020 sembrano abbastanza condivisi. Non emergono dissensi gravi tra i partiti di maggioranza ormai divenuti quattro, ben disposte si dicono le forze sociali, non è più conflittuale il rapporto con l’Europa.
È probabile che il programma sarà scaglionato su più anni. Per reagire al declino e venire incontro al malcontento degli elettori, certo, occorrono interventi non realizzabili dall’oggi al domani. Tuttavia non basta procedere per passi successivi. Occorre nella fase iniziale anche sfidare l’impopolarità ora per ottenere risultati poi, e questo non si profila.
Riformare la burocrazia o la giustizia civile richiederebbe all’inizio scontentare chi dentro vi prospera, per offrire vantaggi a tutti i cittadini in seguito: inutile sperare. Nulla si può disfare di ciò che i governi precedenti hanno fatto, anche se si è dimostrato inefficace o addirittura dannoso. Appena una lobby anche minuta protesta, fermi tutti.
Un caso esemplare è nel fisco. Il presidente del Consiglio annuncia una nuova fase di lotta all’evasione senza far cenno a una norma devastante: l’estensione a 100.000 euro dal 2020 del forfait per le partite Iva, ora a 65.000. Da una parte si vuole recuperare gettito con la fattura elettronica, dall’altra la si sabota esentandone un ancora maggior numero di contribuenti.
Il forfait agli autonomi, lo provano i dati dei mesi scorsi, spinge a rimpicciolire le imprese, l’opposto di quello che serve; incentiva a evadere oltre una certa quota di reddito. In vari modi fa danno. Se non si ha il coraggio di cancellarlo, almeno si faccia rientrare chi ne beneficia nel circuito della fatturazione.
In democrazia il ricambio delle forze politiche al governo serve anche a correggere più facilmente gli errori. Se un provvedimento non ha raggiunto gli scopi desiderati, o costa troppo, lo si elimina. Nell’attuale situazione italiana pare non si possano togliere neppure agevolazioni che avvantaggiano pochi e danneggiano molti.
La paura di toccare interessi particolari fa trascurare l’interesse generale. Quando non si riesce a sottrarre nulla alla spesa, il rischio di finire ad aumentare le tasse è forte. Se il ministro Roberto Gualtieri riuscirà ad evitarlo, complimenti. Meno Irpef sui redditi medio-bassi da lavoro dipendente ed asili nido gratuiti saranno modesti segni di buone intenzioni.
Eviteremo il peggio che incombeva fino a qualche mese fa, una crisi finanziaria scatenata dalla chiusura sovranista. Finché si sfidava l’Europa i capitali fuggivano, ora ritornano. Non basta. Purtroppo all’unica economia avanzata che nel XXI secolo ha avuto crescita nulla servirebbero riforme drastiche, che non avremo.