Corriere della Sera, 24 settembre 2019
La città curda sommersa dalle acque
Quando alla fine degli anni Sessanta un gruppo di tedeschi arrivò ad Hasankeyf a dorso di mulo, gli abitanti di questa cittadina millenaria sulle rive del fiume Tigri lì per lì non capirono. «Pensavamo fosse una comitiva di turisti». Ugur ad Hasankeyf è nato 79 anni fa e qui ha sempre vissuto. Poi, dopo che quegli uomini si misero ad analizzare il letto del fiume, Ugur e i suoi amici iniziarono a comprendere. Erano ingegneri venuti per conto del governo: dovevano verificare le condizioni di fattibilità di una diga.
Avanti veloce di mezzo secolo. I lavori alla diga di Ilisu, 40 chilometri più a Est, sono finiti. Il livello dell’acqua è già salito. E presto, molto presto – l’8 ottobre è la data ultima imposta da Ankara ai 7.300 residenti per trasferirsi – tutto a Hasankeyf sarà inghiottito da un lago artificiale. «Tutto» sono le rovine di una città antica di 12 mila anni, con le grotte del Neolitico, il minareto, la moschea scavata nella roccia, resti dell’antica Mesopotamia e testimoni del passaggio a turno di bizantini, arabi e ottomani.
Nel corso dei decenni gli abitanti del Kurdistan turco hanno combattuto per Hasankeyf. Manifestazioni, campagne supportate anche da attivisti all’estero, petizioni firmate da archeologici e storici. Niente da fare. La progettazione della diga, una delle più grandi della Turchia e punta di diamante del Gap, il Southeastern Anatolia Project, è andata avanti a partire dagli anni Ottanta, fino al 2006, quando sono iniziati i lavori. Obiettivo, rendere il Paese autonomo dal punto di vista energetico. Poi, nonostante le proteste del vicino Iraq già duramente colpito dalla siccità, è arrivato il via libera definitivo. «Hasankeyf deve essere evacuata», ha sentenziato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Una parte dei reperti archeologici – solo otto in realtà, tra cui un’antica porta romana e una parte dell’hammam femminile del 1400 – è stata spostata per salvarla dall’inondazione. «Ma non basta, tutta la nostra storia andrà distrutta e nessuno verrà qui solo per vedere un museo», dicono gli abitanti. Erdogan e i presidenti prima di lui non hanno mai fatto richiesta per classificare Hasankeyf come patrimonio dell’umanità malgrado soddisfi nove dei dieci criteri richiesti dall’Unesco. E ora il «Sultano» può annegarla senza ripercussioni.
I curdi che vivono nella regione non combattono unicamente per la loro identità e per la loro autonomia da Ankara. «Il governo ha costruito 700 case ma non bastano perché il numero degli abitanti è cresciuto. Tanti giovani dovranno tornare a vivere coi genitori», spiega ancora Ugur.
Grande ira ha suscitato anche il trasloco dell’antico cimitero. «Mia madre era sepolta lì. Ho dovuto far riesumare il suo corpo a mie spese». Anche John Crofoot, un americano che ha vissuto a Hasankeyf per diversi anni, ha duramente criticato la diga. «Quello che stanno facendo a questa città non è tanto diverso da ciò che l’Isis ha fatto a Palmira», si è spinto a dire. Una volta che la diga entrerà in funzione, la centrale Hydra produrrà 4.200 gigawatt di elettricità all’anno e i campi del Kurdistan turco saranno irrigati. Hasankeyf invece diventerà una città che non ci sarà più in uno Stato che non ci sarà mai.