il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2019
L’italiano dei 400 metri
Che il destino del campione gli si fosse appiccicato alla nascita già sul nome – anzi sul cognome –, Davide Re (appunto) ha iniziato a dimostrarlo sin da piccolo, quando dai 5 ai 10 anni partecipò a tutte le edizioni della Baby Marathon nella sua Imperia. “E vinsi tutti gli anni!”, prorompe fiero; fa una pausa… “no, ora che ci penso una volta arrivai secondo”, precisa in una smorfia di buffo corrucciamento, che scioglie in un sorriso i lineamenti seri del volto etrusco. Nel mondo dell’atletica, così si legge e si sente dire, lui è per i 400 metri quello che Filippo Tortu è per i 100: l’italiano più veloce di sempre. Davide Re (classe 1993) è, infatti, il primo azzurro ad averli corsi in meno di 45 secondi: il suo record è di 44,77 (realizzato il 30 giugno, al meeting di atletica a La Chaux– de–Fonds, in Svizzera) e grazie a esso si è già qualificato alle Olimpiadi di Tokyo, nel 2020. A ben osservarlo, del quattrocentista Davide ha tutte le fattezze fisiche, anche se ha praticato pure lo sci agonistico fino ai sedici anni. È alto 1,83 m, ha gambe potenti e piede veloce e insieme leggero. “Sono un quattrocentista di resistenza, a dire il vero. Do il meglio di me negli ultimi cento”, precisa di nuovo. I commentatori alla Tv – che sanno bene quello che dicono – lodano la sua “ultima curva”, capace di recuperare posizioni a suon di falcate. Un esempio? Persino i non appassionati di atletica ma semplicemente i lettori curiosi, cercando su YouTube il video della staffetta 4x400 m maschile alla Coppa Europa di quest’anno a Bydgoszcz, pouna gara le cose non vadano per il verso giusto, e i giornalisti con strabiliante originalità gli chiedono cosa sia andato storto, lui confessa, ridendo: “In quel caso ho una risposta jolly (imposta la voce): Riguarderò il video con la mia allenatrice (Maria Chiara Milardi, ndr) per capire!”. DIETRO IL RISERBO e un’iro – nia tutta ligure, tuttavia, c’è un altro Re. Non è, dunque, soltanto l’atleta rigoroso che in quel di Rieti dove si allena, ritma alla perfezione la sua giornata tra sport e studio all’uni – versità, che bilancia ogni pasto (50/55% di carboidrati, 30% di proteine, 15% di grassi), e che nelle settimane precedenti a una gara importante allena il cervello, ripetendosi a mente il percorso per la gestione delle energie di ciascun passo. C’è anche il giovane uomo Davide che ha troppo rispetto per il suo talento e la buona sorte che esso costituisce per dilungarsi sul peso delle aspettative delle persone che ruotano attorno a un atleta (e sono molte), o per inanellare tutte le rinunce – la famiglia lontana, la vita controllata, il rapporto a distanza con la ragazza, lo speciale legame con la sorella gemella – impo – ste dalla carriera. Tutto affiora da una frase, solo all’appa – renza anodina, che si lascia sfuggire: “Tutte le più grandi decisioni le prendo insieme a mio padre”. Per concludere, mentre speriamo che Davide realizzi il suo e nostro sogno di essere il primo italiano a disputare una finale dei 400 metri ai mondiali di Doha (dal 27 settembre al 6 ottobre) o a Tokyo, sappiamo che in lui scorre non solo il sangue dei campioni ma anche la nobiltà degli eroi epici. © RIPRODUZIONE RISERVATA tranno capire cosa significa. In quella gara, Davide è schierato all’ultimo tratto: riceve il testimone dal suo compagno per terzo, dietro l’atleta polacco e quello francese che si trova in testa. A L L’ULTIMA CURVA, cambia passo e alla svelta supera il polacco. Il francese Loïc Prévot sembra lontanissimo, destinato a vincere, ma Davide non molla, corre gli ultimi cinquanta metri con i pugni serrati e gli occhi chiusi, alla disperata: o tutto, o niente! “Nella generale contrazione di ogni muscolo, è un riflesso istintivo che non controllo. Lo faccio per cercare di dare tutto, per reclutare ogni minima fibra di ogni minimo muscolo che mi possa aiutare ad andare ancora più veloce”. Alla fine Davide vince l’oro a due decimi di secondo sul francese: “Se non sono già in testa io, mi gaso ancora di più a puntare l’av – versario con sana cattiveria”, confessa con gli occhi accesi del cecchino, “mi diverte farmi attraversare dall’adrenali – na del sorpasso”. Ma l’adrena – lina ha anche un altro compito cruciale: placare il dolore. “Quello che frena molti corridori a sperimentarsi nei 400 è la paura per la sofferenza fisica”, spiega. “Funziona così: negli ultimi cento metri inizia a farti male tutto. Polpacci, piedi, cosce, caviglie”. LA RESISTENZA a questo, sembra essere la prima qualità di uno che vuol correre. E se non si resiste? Semplice, “Va male!”. Quando capita che in