il Giornale, 23 settembre 2019
Il mito di Federer in un libro
Il tennis è uno sport semplice. Tranne quando lo si gioca. Perché sul campo ci si espone a frustrazioni tremende. Per tutto il tempo occorre decidere e improvvisare nel giro di qualche frazione di secondo. C’è sempre qualcosa che va storto. E tra uno scambio e l’altro, tra un game e l’altro, il tempo basta e avanza per ruminare sulle cose che sarebbe stato meglio fare diversamente. Chi tende alla perfezione, come il giovane Roger Federer, si scontra in modo inevitabile con le proprie ambizioni. La rabbia si accumula e deve liberarsi in qualche modo. Per loro fortuna i tennisti, per l’appunto, hanno sempre una racchetta in pugno, ed è con quella che danno libero sfogo alla loro stizza. Addirittura leggendaria è la storia di Federer adolescente che all’Accademia tennistica nazionale di Bienne sforacchia il tendone, appena installato, che serviva a separare i campi. «Era talmente spesso che mi sono detto: Sì, figuriamoci se riesco a bucarlo!» racconta il reo nel documentario televisivo Replay, senza scomporsi più di tanto. «Eppure di lì a dieci minuti faccio partire la bomba: vedo la racchetta vorticare per aria come le pale di un elicottero e perforare la tenda, neanche fosse stata un coltello nel burro. Tutti gli altri smettono di giocare e mi guardano. E io mi dico: No, non può essere!». Federer raccatta le sue cose e se ne va tanto lo avrebbero cacciato comunque. I giovani tennisti erano stati esplicitamente invitati a non danneggiare il nuovo tendone. Per punizione gli tocca alzarsi all’alba per una settimana e pulire i bagni, passare l’aspirapolvere negli uffici e preparare i campi dalle sei alle sette del mattino. (...)
ROGER E IL PAPÀ
(...) il giornalista René Stauffer, che conosce Federer fin dai suoi esordi, ricorda nella sua biografia Il genio del tennis l’impressione indimenticabile che il talentoso under 18 gli ha lasciato in occasione del loro primo incontro, alla World Youth Cup di Zurigo, quando Federer aveva solo quindici anni. Non solo il talento è subito evidente, ma colpiscono anche i modi scomposti e incontrollati che l’atleta si concede tra gli scambi: «Faceva ballonzolare la racchetta nella mano, correva in continuazione da un capo all’altro del terreno, parlottava tra sé e sé, senza tacere un solo istante, o per meglio dire si insultava da solo. Duubel ringhiava con il suo accento di Basilea quando una palla finiva fuori di qualche millimetro. A volte si criticava perfino dopo avere strappato un punto, magari perché si sentiva insoddisfatto del colpo. Sembrava non accorgersi neppure di quello che succedeva intorno a lui». I suoi genitori sono spesso in imbarazzo per lui (...) Nel 2016 Federer ha raccontato un episodio risalente a quell’epoca. Suo padre Robert, seccato per i suoi continui scoppi d’ira, ha piantato una partita a metà. «Mi ha detto: Sono stufo di giocare con te. Ha posato una moneta da cinque franchi sulla panchina e mi ha salutato con queste parole: Io vado, ci vediamo a casa. Non riuscivo a credere che mi avesse davvero piantato lì così, perché dal campo a casa nostra erano 45 minuti in autobus. Ho aspettato per un’ora intera che tornasse a prendermi. Non si è più visto. Sono uscito nel parcheggio e la nostra auto non c’era più. Allora ho capito che se n’era andato sul serio». In un’altra occasione, rincasando da un torneo giovanile, Robert ha fermato l’auto su un passo di montagna: Roger era talmente fuori di sé per come aveva giocato che suo padre, per raffreddarne i bollenti spiriti, lo ha trascinato fuori dall’auto e gli ha infilato la testa in un mucchio di neve. (...).
ROGER E LEI
Nella storia del tennis elvetico le Olimpiadi di Sydney del 2000 iniziano sotto una pessima stella. Campioni del calibro di Martina Hingis, Patty Schnyder e Marc Rosset hanno scelto di non gareggiare. La piccola delegazione svizzera, formata dal giovane Federer, da Mirka Vavrinec, da Emmanuelle Gagliardi e dal coach Peter Lundgren, condivide con un team di quattro lottatori una casetta a schiera nel villaggio olimpico. Nessuno sospetta che sotto il sole cocente dell’Australia stia sbocciando una storia d’amore. Neppure quando già nelle primissime fasi dei Giochi Vavrinec confida ad alcuni giornalisti svizzeri che Federer la fa ridere fino alle lacrime. Non è un tipo noioso, anzi, è divertentissimo, e questo le piace: alleggerisce l’atmosfera. Lei stessa non si accorge subito che Federer le fa la corte. «Era sempre lì che mi ronzava intorno, e io non riuscivo a capire che cosa volesse» avrebbe ricordato poi. Sul campo Federer si fa sfuggire due medaglie già a portata di mano, nella semifinale contro Tommy Haas e nella partita per il bronzo contro Arnaud Di Pasquale, ma fuori dal campo fa centro: l’ultimo giorno dei Giochi chiama a raccolta tutto il suo coraggio e bacia Mirka. L’esperienza le piace, ma lei lo prende in giro: «Sei ancora così giovane, sei un bambino». Federer ha compiuto da poco diciannove anni, lei ne ha già ventidue. «È un po’ più grande di me, e le donne maturano sempre prima. All’inizio della nostra storia è una cosa che mi ha molto aiutato» avrebbe ammesso a distanza di tempo. «Abbiamo iniziato quasi subito a fare molto sul serio».
ROGER E GLI ALTRI
Quando nel 2003, alla vigilia di Natale, il giovane tennista di Basilea avvia una Fondazione eponima, in quel progetto c’è molto idealismo, oltre che una buona dose di ingenuità (...) La prima stagione nella quale si impone ai massimi livelli mondiali gli ha già fruttato 3,8 milioni di dollari in premi. Il giovane Federer si domanda come investire tutti quei soldi. «Mi sono chiesto che cosa fare per crescere non solo come tennista, ma anche come essere umano» ha ricordato nel 2016. (...) La Fondazione ha coinvolto fin dall’inizio anche i suoi genitori e sua moglie Mirka, che si sono spesi senza risparmio. Sul finire del 2009, però, Federer capisce che occorre professionalizzare le operazioni. Coinvolge la giurista Janine Händel, reduce da otto anni di servizio diplomatico per conto della Svizzera, e le affida la direzione di un ufficio nel quartiere zurighese di Seefeld. (...) I fondi che il progetto raccoglie ogni anno sono più che decuplicati, passando da 0,72 milioni a 7,5 milioni di franchi svizzeri. Dal 2010 la Fondazione ha aiutato i meno fortunati erogando circa 40 milioni di franchi l’anno. In Sudafrica si è affermata come un soggetto di riferimento, dotato di una voce riconoscibile. (...) Nella primavera del 2013 Federer si è lasciato coinvolgere in un progetto a dir poco ambizioso: l’obiettivo era raggiungere un milione di bambini sudafricani entro il 2018 con i programmi di formazione. L’obiettivo è stato addirittura superato: «Non avrei mai creduto di poter fare la differenza nella vita di tanti bambini» ha dichiarato lo svizzero.