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 2019  settembre 23 Lunedì calendario

Differenze tra Etna, Vesuvio e Stromboli

Per studiarli arrivano da tutte le parti del mondo, perché sono facili da raggiungere e soprattutto sempre in attività. I vulcani italiani rappresentano un perfetto laboratorio di vulcanologia, preso d’assalto da scienziati di ogni nazionalità, che ancora si interrogano sull’eterogenia di questa terra, dove acqua e fuoco si scontrano.
Etna, Stromboli e Vesuvio, fanno ormai parte dell’immaginario mondiale; tanto che non si potrebbe davvero pensare di raffigurare un’Italia senza le nuvolette di fumo che si alzano da Campania, Sicilia e mar Tirreno. Ma non sono la stessa cosa: ogni vulcano obbedisce a geologie specifiche, rocce particolari, presupponendo interventi di salvaguardia ambientale diversissimi fra loro, sulla base del tipo di magma prodotto. Ma chi sono e come si comportano i principali vulcani del Bel paese?
TERRA E ACQUA
L’Etna (nella foto in alto) è uno stratovulcano alto 3.340 metri che sorge in corrispondenza della zona di collisione fra la placca euroasiatica e quella africana. Obbedisce a un vulcanesimo di tipo basico. Le sue colate laviche, infatti, sono ben conosciute e facili da gestire, danno il tempo di correre ai ripari e di arginare il movimento dei fiumi di lava. La caratteristica è dovuta all’attività di faglie particolari che rientrano nella cosiddetta scarpata ibleo-maltese, nel punto in cui il magma risale dal mantello semifluido sottostante, incalzato dalle correnti convettive che muovono i continenti. La sua attività risale a 500mila anni fa, alla cosiddetta «fase delle tholeiiti basali». Siamo nel Pleistocene medio e l’Etna è sommerso dalle acque, una realtà testimoniata dal fatto che ancora oggi troviamo tracce delle antiche eruzioni nella zona di Acitrezza. Più o meno 320mila anni fa, il grande golfo che contraddistingueva l’area geografica nei pressi del vulcano, viene ridimensionato dai movimenti tettonici e l’Etna inizia a eruttare sulla terraferma. La «fase delle timpe» inizia centomila anni dopo. E trova conferma nei depositi eruttivi di Paternò, risalenti a 170mila anni fa. Seguono la «fase dei centri eruttivi della Valle del Bove», con la nascita di nuovi punti di produzione di magma, come il Giannicola e il Salifizio; e quella odierna e più recente, la «fase stratovulcano», che va avanti da più di 50mila anni e si riferisce alla genesi del cono vulcanico che oggi tutti riconosciamo e col quale abbiamo quasi ogni anno a che fare.
UNA VITA DIVISA IN SETTE
Lo Stromboli ha una natura diversa. Un magmatismo di tipo neutro, che si contrappone al basico dell’Etna. L’attività vulcanica è più difficile da gestire, talvolta esplosiva, con produzione di bombe e brandelli incandescenti sparati fino a 50 metri di altezza. È la tipica attività stromboliana, intervallata da pause quiescenti di pochi minuti. Il primo cratere risale a 200mila anni fa e le colate laviche di quel periodo sono visibili in corrispondenza di Strombolicchio, isoletta e antico vulcano, vicinissima a quello attuale). L’isola è risalita dal mare 160mila anni fa, mentre il vulcano che vediamo oggi, con i suoi 924 metri di quota, di anni non ne ha più di 35mila. La vita dello Stromboli è contrassegnata da sette periodi cronologici: si va da Paleostromboli I (200mila anni fa), a Neostromboli, 13mila anni fa. Tre le bocche di solito interessate dalla attività magmatica, situate a un’altezza media di 750 metri. Il geodinamismo dello Stromboli rientra nei movimenti legati all’arco vulcanico delle Isole Eolie, concettualmente riconducibile a quelli molto più imponenti delle Antille e del Giappone. Dunque Stromboli, con Vulcano e Lipari, rappresenta la parte emersa di un arco geologico sottomarino attivo dal Pleistocene inferiore.
NON SOLO POMPEI
Il Vesuvio, infine, sorge in un contesto geologico diverso dai vulcani siciliani. È l’unico dell’Europa continentale, e la sua genesi rimanda a due milioni di anni fa, con l’apertura del Tirreno e la formazione della catena appenninica. Tecnicamente è uno stratovulcano alto poco più di 1.200 metri, derivante dalla fusione fra un vecchio edificio vulcanico più imponente di quello attuale e il nuovo cono, formatosi dal collasso di quello precedente.
Le eruzioni più moderne risalgono a 400mila anni fa. Ma è da Plinio il Vecchio che abbiamo un sunto preciso delle grandi eruzioni succedutesi nei secoli. A parte la catastrofe che distrusse Ercolano e Pompei, si segnalano altri fenomeni importanti che hanno sconvolto la vita dei campani di un tempo. Fra il 16 e 17 dicembre del 1631 un’eruzione uccise diecimila persone. I danni furono immensi, per le abitazioni e i campi. L’evento fu tanto importante da provocare un abbassamento di 450 metri del cono.
Altrettanto significativa l’esplosione dell’aprile 1906: ci furono 216 vittime, e quasi 40mila profughi. Oggi il Vesuvio riposa dal 1944, ma gli esperti avvertono: è quasi certo che, entro la fine del secolo, tornerà a fare sentire la sua voce.