Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 23 Lunedì calendario

Inchiesta sui vigilantes

È l’esercito della porta accanto, oltre 70mila uomini armati e inquadrati che occupano quotidianamente le strade delle nostre città. Nulla di minaccioso, anzi. Sono metronotte, guardie giurate, vigilantes, poliziotti privati, comunque li si voglia chiamare. Non hanno generali ma manager, visto che a fanno capo a oltre 1.300 aziende, concentrate soprattutto al Sud, con un giro d’affari, tenendo conto di tutti gli addentellati, da tre miliardi e mezzo di euro. E il numero contribuisce a dare l’idea di uno dei settori più in salute del nostro terziario.
Nella maggior parte dei casi le aziende che muovono le file di questa armata sono poco più che familiari. A capo ci sono spesso ancora i vecchi fondatori, o i loro eredi. Qualcuno tra loro è riuscito a diventare grande. La parte del leone la fa Lorenzo Manca, proprietario e amministratore del gruppo Sicuritalia. Già numero uno del settore, ha acquistato di recente Ivri, il numero due. Oggi può contare su un giro d’affari da 650 milioni di euro l’anno e 15mila dipendenti. A tutti gli effetti è la più grande e più importante società italiana a occuparsi di sicurezza.
«A far nascere tutto è stato mio padre Mario. Era il 1956 e allora la società si chiamava Ilvi, Istituto lariano di vigilanza. Siamo partiti da Como e Lecco, che allora erano un’unica provincia. Erano tempi più sicuri sì, ma anche momenti di forte boom economico, con lo sviluppo di nuove industrie e di attività commerciali – racconta -. Le prime rapine fecero crescere molto un bisogno di sicurezza che le sole forze dell’ordine non riuscivano a soddisfare del tutto. Da qui la richiesta di vigilanza privata».
Da allora il comparto ha continuato a crescere, trasformandosi via via. «Io sono subentrato nella gestione dell’azienda nel 1994; avevo 26 anni, mi ero laureato da poco tempo e avevo fatto un breve tirocinio – prosegue -. Negli ultimi 25 anni ci sono stati momenti diversi e verso la seconda metà dello scorso decennio, sono cambiate le regole del gioco: sono state cancellate sia le tariffe di legalità, che imponevano un prezzo unico a tutte le aziende, sia le licenze contingentate che limitavano la possibilità di operare sul territorio nazionale. È stato un momento decisivo per il mercato – prosegue Manca -, si è aperta la concorrenza e chi ha saputo essere più competitivo ha potuto fornire servizi migliori a un prezzo più vantaggioso. Infine, negli ultimi anni, la parola d’ordine è stata quella dei servizi di sicurezza integrata».
DAI MISSILI ALLE BANCHE
Secondo i professionisti del settore le esigenze sono molto diverse rispetto a dieci anni fa. E proprio per questo sulle nostre strade è più difficile vedere guardie giurate all’ingresso delle banche o in altri luoghi sensibili. Gli agenti privati sono sempre più spesso chiusi in una stanza, davanti al monitor di un computer. Da qui controllano a distanza, pilotano droni e rover, verificano i programmi informatici. «Oggi parliamo di cyber security e di videoanalisi digitale, attività specialistiche che in passato non erano neanche immaginabili – continua Manca -. Siamo in grado di monitorare avvenimenti a distanza con strumenti di telegestione centralizzata, o di interpretare con sistemi di analisi video i comportamenti più complessi di singoli o di gruppi di persone. Applichiamo l’intelligenza artificiale grazie ad algoritmi intelligenti montati a bordo delle telecamere di video sorveglianza, utilizziamo droni e rover, gli apparecchi telecomandati. Fanno lo stesso lavoro di ispezione che una volta facevano solo gli uomini».
Anche grazie a tecnologie come queste oggi Sicuritalia contribuisce a sorvegliare le rampe di lancio dei missili dell’Esa in Guyana francese, si occupa di investigazioni sulle frodi internazionali, controlla gli impianti industriali di Leonardo e Fincantieri. Inoltre protegge le sedi e le filiali delle principali banche italiane, delle infrastrutture di Tim e Vodafone, e di quelle di Eni ed Enel. Senza dimenticare gli aeroporti di Brindisi e Bergamo, i porti di Venezia, Genova e del mare Adriatico meridionale, le principali catene della grande distribuzione, grandi e piccole imprese.
Tra i settori in espansione c’è, come ovvio, anche la sicurezza informatica. «Molte aziende italiane hanno già registrato attacchi più o meno seri – dice Manca -. Eppure molti sono ancora inconsapevoli del rischio e fanno poco o nulla per tutelarsi. Sicurezza fisica e sicurezza informatica sono due facce della stessa medaglia, nei fatti sempre più interconnesse. Non esistono più sistemi di sicurezza che non siano dipendenti da un software e così pure i dispositivi informatici non possono prescindere da aspetti di sicurezza fisica».
UOMINI E TECNOLOGIA
Della stessa opinione è anche Luciano Basile, numero uno di Sicurtrasport, un’azienda nata nel 1971. Oggi conta oltre mille dipendenti ed è leader nel Sud, nelle zone tra Sicilia, Calabria e Puglia, soprattutto nel campo del trasporto valori. «Prima si puntava esclusivamente sulla capacità degli uomini che operavano sul campo. Oggi si è aggiunta la tecnologia, che porta con sé la necessità di una formazione continua – spiega -. Nel tempo i furgoni blindati che recuperano e trasportano il denaro in banche ed esercizi commerciali sono rimasti uguali. A cambiare sono le tecnologie di difesa per gli uomini, i mezzi e i caveau. Un tempo ci si sentiva sicuri solo utilizzando una serratura massiccia o una porta blindata. Oggi si vuole un controllo diretto con guardie private e sistemi di video sorveglianza».
La famiglia Basile si occupa di sicurezza privata dalla fine dell’Ottocento, l’attuale amministratore delegato è invece entrato in azienda nel 1996. Ma dopo 23 anni non ha cambiato idea su un aspetto fondamentale del suo lavoro, le armi: «Non è detto che liberalizzarle porti più sicurezza. Bisogna mantenere un equilibrio fra la libertà di possederle e la necessità di impedire che chiunque possa usarle per compiere gesti di follia. La sicurezza è un settore che necessita di competenza. Non ci si può improvvisare. Ed è giusto che venga delegata a dei professionisti. Forze dell’ordine in primis e società di vigilanza, poi, che però necessitano di un armamento adeguato a quelle che sono le minacce di oggi».
Il percorso per diventare guardia giurata prevede un’autorizzazione da parte del prefetto, dopo avere dimostrato di non avere riportato condanne e di non presentare controindicazioni psicologiche o morali. Oltre a porto d’armi e relativa formazione bisogna seguire corsi come primo soccorso, antincendio ed essere abilitati all’utilizzo di metal detector e altre apparecchiature che emettono raggi X. Rispetto al passato è, insomma, una strada più lunga e complessa.
Ricorda ancora le prime ronde in bicicletta il presidente del gruppo Civis, Marco Galliani. L’azienda è nata nel 1971 e lui, dopo più di 30 anni di lavoro, tira le somme. «Quando siamo partiti le guardie giravano su due ruote, oggi utilizziamo i droni», spiega. Anche il tema della sicurezza degli uomini sul campo è cambiato. «Tutti sono costantemente in collegamento radio con le centrali operative, le macchine hanno dei sistemi satellitari che ne consentono la tracciabilità – conclude -. Anche se sono rimaste le dotazioni, più tradizionali, quelle che si vedono nei film. Per esempio i sistemi installati nei furgoni porta valori che macchiano il denaro fino a renderlo inutilizzabile da eventuali ladri».