Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2019
Lo stop alle imprese mafiose
Aumentano gli stop delle prefetture alle imprese sospettate di infiltrazioni mafiose. Sono state infatti oltre 3.700 le interdittive emesse dai Prefetti negli ultimi quattro anni. Di queste, più di mille sono state adottate da gennaio a oggi: quattro al giorno. La crescita dei provvedimenti, rispetto al 2016, è a tre cifre: +185 per cento. Regolate dal Codice antimafia del 2011, le interdittive sono uno strumento di prevenzione amministrativa di competenza del Prefetto, introdotto per impedire che la mafia e, in generale, la criminalità organizzata penetrino all’interno dell’economia legale. All’impresa colpita è vietato avere qualsiasi rapporto con la Pa, dalla partecipazione agli appalti alla percezione di fondi o contributi, fino alle autorizzazioni commerciali. Anzi: vengono meno anche le licenze già esistenti (si veda l’articolo in basso).
Come funziona
Il controllo del Prefetto scatta nel momento in cui un’impresa, che entra in contatto con la pubblica amministrazione, ad esempio per un contratto di appalto o per ottenere un’autorizzazione, risulta “sospetta”: una prima valutazione che le Pa fanno consultando la Banca dati unica antimafia, che censisce le situazioni delle imprese. Le Prefetture conducono un’istruttoria – spesso lunga mesi – che mette sotto la lente vari aspetti: dalla parentela di amministratori o dipendenti con famiglie criminali ai rapporti economici, fino ai possibili condizionamenti. Attenzione però: un’interdittiva è un provvedimento amministrativo che non si basa sulla certezza dell’infiltrazione mafiosa (che si deve invece raggiungere per la condanna penale) ma su una valutazione probabilistica fondata su elementi di fatto specifici, concreti e rilevanti. Si tratta comunque di un provvedimento potente, che secondo gli avvocati dovrebbe avere carattere eccezionale: «È uno strumento micidiale più efficace della sanzione penale che andrebbe quindi portato sotto il controllo della giurisdizione», dice Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere penali.
Territori e settori
La maggior parte delle interdittive emesse dal 2016 a oggi, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, si concentra nelle regioni tradizionalmente più colpite dalle mafie. Infatti, più del 57% (2.174) sono state emesse in Calabria (909 interdittive in quattro anni), Sicilia (655) e Campania (610). Ma sono elevati anche i numeri delle regioni del Nord, in particolare Lombardia (263 provvedimenti), Emilia Romagna (234), e Piemonte (216).
Delle 3,700 interdittive emesse dal 2016 ad oggi, sono poco più di duemila quelle che hanno toccato aziende coinvolte in appalti pubblici. Le altre hanno riguardato imprese che non lavorano direttamente con la Pa, come ad esempio ristoranti, bar e pizzerie. Il dato emerge mettendo a confronto i numeri totali delle interdittive forniti dal ministero dell’Interno con quelli dell’Anac, l’Autorità anticorruzione, che censisce solo le aziende che possono partecipare a gare pubbliche.
Ma questa forbice non è stata sempre uguale: negli anni si è costantemente allargata (nel 2016 gli operatori colpiti che non partecipavano a gare erano un centinaio mentre nel 2019 quasi mille) a dimostrazione sia della maggiore attenzione di prefetture, autorità giudiziarie e enti pubblici ma anche di una capacità di penetrazione delle mafie nell’economia va che è andata via via oltre il comparto per tradizione più esposto, cioè quello dei contratti pubblici.
Le ragioni del boom
Sono tanti i fattori che hanno contribuito all’aumento delle interdittive. Intanto, il rodaggio del nuovo strumento: nel 2014, nel Codice antimafia è stato introdotto l’articolo 89-bis che permette al Prefetto di adottare un’«informazione antimafia interdittiva» quando accerta «la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa». Si tratta di una formulazione che lascia più spazio a una valutazione discrezionale rispetto ai criteri previsti per la «comunicazione interdittiva». Dopo un primo periodo, le Prefetture hanno iniziato a usare meglio lo strumento, anche collaborando con la Pa e le Procure. La Prefettura di Milano, ad esempio, ha sottoscritto un accordo con il Comune per migliorare le sinergie contro le infiltrazioni mafiose. Inoltre, «in questi anni sono aumentate le richieste di documentazione antimafia – spiega il Prefetto di Palermo, Antonella De Miro -, sia per una maggiore attenzione delle pubbliche amministrazioni, sia perché è cresciuta la casistica delle attività per cui è obbligatoria la certificazione antimafia».
A confronto con le richieste, le risposte «interdittive» rappresentano una percentuale minima: nei primi sei mesi del 2019 a Palermo le richieste sono state più di 7mila e le interdittive 33, mentre a Torino a fronte di 9.300 istanze le interdittive sono state otto. Stesso discorso a Bologna dove, dal 2013 a oggi, le richieste di documentazione antimafia e le istanze white list sono state quasi 80mila, mentre i provvedimenti adottati 76.
Le conferme dei giudici amministrativi
Le aziende colpite da interdittiva possono impugnare il provvedimento di fronte a Tar e Consigio di Stato. Ma in questi anni i provvedimenti adottati dalle prefetture sono stati in larga parte confermati dai giudici sia di primo sia di secondo grado.