La Stampa, 23 settembre 2019
UN Tiziano sotto il brutto quadro
Venezia. Un quadro di incerta attribuzione, «brutto dipinto da vendere» – come era stato classificato a metà ’800 a Pietroburgo – che torna in Laguna dopo oltre un secolo e mezzo. Era intitolato Tobiolo e l’angelo, ma ora i due biblici personaggi sono scomparsi e al loro posto ci sono una giovane donna e una bambina eleganti e ingioiellate. Anche il titolo della tela è cambiato: adesso si chiama Ritratto di dama con la figlia. E l’autore è nientemeno che Tiziano, il maestro del manierismo veneto.
È la storia rocambolesca di un capolavoro alterato, travisato, passato di mano in mano per mezza Europa nell’arco di quasi cinque secoli, finito sotto i bombardamenti, perduto e infine (da poco) recuperato quella che emerge dalla mostra «Da Tiziano a Rubens», nel Palazzo Ducale di Venezia fino al prossimo 1° marzo. L’ha curata Ben van Beneden, direttore della Rubenshuis di Anversa da cui provengono molti dei 140 pezzi esposti, con il contributo di altre collezioni fiamminghe pubbliche e private. Una mostra che con quadri, vetri, antichi strumenti musicali racconta due secoli di storia condivisa, tra Cinque e Seicento, quando sulla rotta tra la Serenissima e Anversa, due delle città più ricche del tempo, il principale porto aperto sull’Oriente e quello sul Nord, correvano le merci, e con queste la cultura e le arti.
«Uso magico della pittura»
Diversi pittori scesero in quegli anni dalle Fiandre in Laguna per soggiorni di studio, riportandone tecniche artistiche e organizzative: la bottega di Rubens a Anversa seguiva lo stesso modello di quelle italiane, che potevano rispondere a un gran numero di committenze grazie alla divisione «tayloristica» del lavoro tra allievi e assistenti. Tra le opere che il maestro fiammingo e il suo allievo Van Dyck ebbero modo di ammirare lungo le sponde del Canal Grande, nel palazzo Barbarigo a San Polo, era anche l’intero contenuto dell’atelier di Tiziano, morto di peste il 27 agosto 1576, che il figlio Pomponio, «pecora nera» della famiglia, aveva venduto nel 1581 a Cristoforo Barbarigo. E tra queste anche il doppio ritratto ora in mostra, che però si era già trasformato in Tobiolo e l’angelo. Che cosa era successo?
Un passo indietro. Rimasto vedovo di Cecilia, dapprima domestica e poi moglie, morta in giovane età nel 1530, Tiziano assume una nuova fantesca, Milia, che diventa sua amante e intorno al 1548, quando l’artista è ormai prossimo ai sessant’anni, gli dà una figlia di nome Emilia. È questa la coppia che la storica dell’arte Jaynie Anderson ha identificato con argomentazioni stringenti nel doppio ritratto. Dipinto quando la bambina aveva circa dieci anni, con un «sensuale, quasi magico uso della pittura», osserva la studiosa, che «mostra chiaramente il trasporto di Tiziano per questa madre e per sua figlia», il quadro è lasciato incompiuto, anche se rifinito nelle figure umane.
La donna acquista le ali
Alla morte del padre, forse per coprire le tracce di una convivenza imbarazzante e mai accettata dal resto della famiglia, forse perché un’opera a tema biblico risultava più smerciabile, Pomponio pensa bene di farlo ritoccare, affidandosi probabilmente all’amico Francesco Bassano il Giovane che con lui ha occupato lo studio di Tiziano in calle dei Biri. E così le due figure ritratte assumono abiti e acconciature maschili, la (ex) donna acquista un bel paio di ali bianche e rosa e la postura degli avambracci viene modificata in modo da far reggere al giovane Tobia un grosso pesce e all’angelo il vaso con il farmaco che guarirà dalla cecità il padre del ragazzo.
Così camuffato, il quadro attraversa i secoli, nella scarsa considerazione dei nuovi proprietari e tra qualche sospetto dei critici che ne rilevano le anomalie, finché nel 1850 la collezione Barbarigo è venduta allo zar Nicola I. Subito inserito nell’elenco delle opere di cui disfarsi, di Tobiolo e l’angelo si perdono le tracce. Ricompare nel 1913, in una mostra alla Grosvenor Gallery di Londra, descritto nel catalogo come «tizianesco ma non Tiziano». In seguito la tela cambia più volte proprietario, finché alla fine degli anni 20 viene acquistata dal mercante d’arte francese René Gimpel. Che allo scoppio della Seconda guerra mondiale la ricovera tra i pezzi più preziosi della sua collezione in un deposito segreto londinese. Ma proprio qui, in un garage di Bayswater, il quadro rischia di andare perduto per sempre.
La rivelazione ai raggi X
I palazzi della zona sono pesantemente bombardati e Gimpel, che si è arruolato nel maquis, viene catturato dai nazisti e muore nel Lager senza aver rivelato a nessuno l’ubicazione del nascondiglio. Soltanto alla fine del ’46, in capo a affannose ricerche, il figlio riesce a scovarlo. Due anni dopo, esaminato ai raggi X al Courtauld Institute in vista del restauro, il quadro rivela la composizione sottostante. Uno studioso nota la somiglianza tra il volto della bambina e quello di Lucrezia nel Tarquino e Lucrezia di Tiziano del Fitzwilliam Museum di Cambridge, ma ancora nel 1970, dopo svariati tentativi infruttuosi di venderlo all’asta, Christie’s rifiutava di presentarlo come opera del maestro cadorino. Bisogna arrivare al 2003, alla monografica su Tiziano al Prado, perché il quadro – nel frattempo acquistato dal Pelican Trust e ritornato allo stato originale dopo un delicatissimo restauro condotto per 18 anni da Alec Cobbe, asportando millimetro per millimetro la pellicola pittorica ascitizia – sia ufficialmente riconsacrato nella sua prestigiosa paternità.
Con la mostra veneziana, dopo quattro secoli e mezzo, il cerchio si chiude, grazie al collezionista fiammingo Marnix Neerman che ha acquistato la telaquadro tre anni fa e dopo averlo depositato in prestito alla Rubenshuis di Anversa ha voluto che fosse presente nella rassegna di Palazzo Ducale. Milia e Emilia, finalmente liberate, sono tornate nel luogo che le aveva inghiottite. Temporaneamente, per ora. In futuro chissà. —