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 2019  settembre 23 Lunedì calendario

Intervista ad Adriano Giannini

Racconta di aver fatto di tutto, anche «cose sgangherate, come un film di kung fu a Shangai in cui, seguendo un copione in cinese, ci si menava di brutto». Non ha la mistica del fuoco sacro, prima di diventare attore è stato operatore e ancora adesso sui set gli torna spesso la voglia di mettersi dietro la macchina da presa: «È una cosa istintiva, so quello che succede, capisco chi sta da quella parte. E poi è un mestiere che ho amato moltissimo».
Insomma, il primo dato evidente di Adriano Giannini, 47 anni, romano, figlio di Giancarlo, neo-sposo di Gaia Trussardi, è la concretezza. Un sano attaccamento alla realtà, che forse contribuisce al suo fascino e che gli consente inedite botte di sincerità: «Il mercato italiano è talmente precario che, per un attore, è difficile trovare sempre progetti che corrispondano alla propria natura e ai propri desideri. Non riesco a capire come gli altri mi vedano, magari è meglio, sono un po’ indecifrabile, e spero di rimanere così».
Secondo lei è vero che negli ultimi tempi gli uomini fanno più fatica delle donne a definire il loro ruolo nella società?
«Trovo che tutto il mondo sia in affanno e che certi problemi siano sia degli uomini che delle donne. Forse tanti uomini oggi fanno più fatica a costruirsi un’identità perché, storicamente, il luogo dove si affermavano era il lavoro, e se questo contesto manca, oppure è precario, la situazione diventa critica».
Nel nuovo film di Francesca Archibugi «Vivere» (da giovedì nelle sale) è Luca, un giornalista freelance che scrive di gossip e tradisce la moglie con la ragazza alla pari. Come descriverebbe il suo personaggio?
«Luca compie azioni discutibili, ma bisogna giudicarlo con cautela, tutto quello che fa nasce, appunto, da un disagio esistenziale che gli fa provare una grande solitudine. In fondo le sue scelte rappresentano il tentativo di restare aggrappato a una sorgente di vita. Non è da giustificare, ma di sicuro non è il solito dongiovanni conquistatore».
La sua partner nel film è Micaela Ramazzotti, come si è trovato?
«Avevamo già lavorato insieme, la trovo di una generosità trascinante, è un’attrice istintiva, una cavalla indomita, capace di regalare perle meravigliose, quando lo fa, bisogna essere pronti a ricambiare».
In quanto figlio d’arte, per buona parte della sua carriera ha dovuto rispondere alla solita domanda su suo padre. Le è pesato?
«Veramente nella vita quotidiana continuano a farmela, ma ormai sono preparato, non ci faccio più caso, ho faccia e risposta pronte per quella domanda».
Ha recitato nel nuovo film di Nanni Moretti «Tre piani», come è andata?
«Mi sono trovato benissimo, è stata un’esperienza molto positiva, lo conosco da vari anni, era stato amico di mia madre e nei vari passaggi della vita si è sempre dimostrato una persona carina, leale e gentile».
Che ruolo ha nel film di Moretti?
«Non credo di poterne parlare, se lo facessi credo che Nanni si materializzerebbe qui da me, ma anche li da lei, per impedire che si dica qualcosa».
È stato doppiatore di Heath Ledger, adesso dà la voce a Joaquin Phoenix in «Joker», è stata una prova difficile?
«Il film mi è piaciuto moltissimo, l’avevo visto a luglio. Phoenix è assolutamente straordinario, interpreta la storia di un reietto, un emarginato. Ho già avuto la fortuna di doppiare attori impegnati in grandi interpretazioni, ci vuole senso di responsabilità. Spero sia venuto bene».
Il tratto distintivo del Joker di Phoenix è una risata agghiacciante. Ha dovuto rifarla?
«Sì, abbiamo provato vari tipi di risate, ma non so che cosa si deciderà di fare nella versione finale, forse, almeno in parte, resterà quella originale di Phoenix che era abbastanza difficile da ripetere».
Ha diretto due corti, è arrivato il momento di girare un film da regista?
«Mi vergogno un po’ a dirlo, ma avevo già delle idee in questo senso, poi, per varie ragioni, le ho accantonate. Produrre film in Italia è complicato. Però adesso mi ci rimetto, promesso. Finisco il trasloco e riprendo in mano il progetto seriamente».
Come si sente da romano trasferito a Milano?
«Non posso ancora dirlo perché da due settimane sono chiuso in casa a fare lavori e a mettere ordine, però Milano l’ho frequentata, è dinamica, offre, rispetto a Roma, molti più volani artistici e culturali».
Roma non è più quella di una volta?
«A Roma sono nato e cresciuto, è una città che ne ha viste tante, sopravviverà, e tornerà a splendere come prima. Basta vedere quello che succede quando arriva un capo di Stato straniero. In una settimana rifiuti, topi, gabbiani, spariscono. E poi adesso che ci torno da “emigrato” la vedo con occhi diversi, l’apprezzo di più».