Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 23 Lunedì calendario

Droni e terrorismo

Aprile 2017, Mosul Ovest. Nel cortile di un edificio a due piani, ad appena 800 metri dalla Grande moschea di Al-Nuri, le forze speciali irachene hanno allestito un posto di comando avanzato. Le linee dell’Isis sono a due isolati di distanza, lo scambio di colpi di mortaio e mitragliatrici è fitto. Di colpo il comandante si agita, urla: «Droni, tutti al riparo». Il quadrielica volteggia in alto, poco visibile, i soldati cercano di abbatterlo. Due giorni prima una granata sganciata dal cielo ha massacrato una pattuglia. La battaglia per distruggere il califfato è a una svolta ma i militari in prima linea non sanno ancora che stanno assistendo ai primi episodi della “guerra dei droni”. Lo Stato islamico è stato il primo gruppo terroristico a usare i velivoli senza pilota. Erano ancora mezzi rudimentali, concepiti per uso civile e trasformati in mini-bombardieri.
Due anni dopo organizzazioni del terrore, milizie, entità non statuali come l’Hezbollah libanese, gli Houthi nello Yemen o l’esercito del maresciallo Khalifa Haftar in Libia, ne fanno un uso massiccio. La tecnologia ha fatto passi da gigante, i costi si sono ridotti, il loro uso è alla portata di tutti, o quasi. Dopo l’Iraq la guerra dei droni si sposta in Siria. Sono i ribelli jihadisti della provincia di Idlib a portarla a un livello più sofisticato. Gennaio 2018, un’ondata di droni armati con razzi investe la base aerea russa di Hmeimim. Una mezza dozzina di cacciabombardieri viene danneggiata, due soltati rimangono uccisi. Per Mosca è uno smacco. Aerei del valore di 30-40 milioni di dollari messi fuori uso da una monoelica che ne costa poche migliaia.
Attorno alla base vengono dispiegati sistemi anti-aerei a corto raggio Pantsir S-2. I successivi attacchi vengono respinti, ma a un prezzo notevole. Mentre i droni hanno un rapporto “costi-benefici” molto favorevole. Se all’inizio degli Anni Duemila le armi nuove nelle guerre asimmetriche erano gli attacchi kamikaze o l’uso di razzi fatti in casa adesso sono gli aerei senza pilota. Il primo a capirlo è Hezbollah. Sul fronte siriano comincia a far uso di droni di sorveglianza. Sul fronte del Golan, assieme ai consiglieri dei Pasdaran iraniani, sperimenta le prime incursioni in territorio israeliano. Finché, lo scorso 25 agosto, si assiste alla prima grande battaglia. Un raid israeliano sventa un attacco massiccio con droni sul Golan. Nella stessa notte due droni dello Stati ebraico cercano di colpire macchinari per la realizzazione di missili e precipitano nel centro di Beirut. Israele è al centro del conflitto. Usa i droni e li subisce. Quest’estate ha lanciato una campagna segreta contro le milizie sciite filo-iraniane in Iraq. Quattro basi sono state attaccate, depositi di armi distrutti. I droni, a quanto pare, sono partiti dalle zone controllate dagli Usa nella Siria nordorientale. Sul fronte interno, invece, sempre lo scorso agosto, una pattuglia al confine con Gaza viene attacca da un velivolo di Hamas. Ma è in Libia e nello Yemen che la “guerra dei droni” arriva al massimo della potenza.
Il 4 aprile il maresciallo Haftar attacca Tripoli. Di fronte ha le milizie che appoggiano il governo di Fayez al-Serraj. Haftar ha più mezzi ma pochi uomini. L’offensiva si impantana all’altezza dell’aeroporto internazionale. È lì che i miliziani pro Al-Serraj subiscono l’efficacia micidiale dei droni di fabbricazione cinese Wing Loong, forniti dagli Emirati. Numerosi blindati vengono inceneriti, le perdite sono alte.
I “tayara bidun tayar”, aerei senza pilota, diventano un incubo. Comincia “una guerra dei droni per procura”. In soccorso di Tripoli interviene la Turchia. Fornisce i suoi Bayraktar TB2 e riequilibra la situazione. Parliamo di mezzi paragonabili ai Reaper americani, capace di arrivare a 7-8 mila metri di quota e di lanciare una mezza dozzina di missili ad alto potenziale. I droni turchi e cinesi costano meno. E ancora meno quelli iraniani. Uno dei più sofisticati è lo Shahed 129A, in grado di trasportare 400 chili di bombe e missili e di volare per 1700 chilometri. Su questo modello, che costerebbe all’incirca 7,5 milioni di dollari contro i 15 del Reaper, gli Houthi hanno sviluppato il loro Uav-X, che ha colpito gli impianti petroliferi sauditi sabato 14 settembre. Un esercito di guerriglieri scalzi ha messo in ginocchio la più grande economia petrolifera mondiale. È il paradosso della guerra dei droni.