La Stampa, 23 settembre 2019
Intervista a Teresa De Santis
«Mi difenderò fino all’ultimo, non sarò un agnello sacrificale». In Rai si gioca la battaglia della sopravvivenza e Teresa De Santis, direttrice di Rai 1, non è disposta a immolarsi per salvare la pelle di qualcun altro. La guerra non sarà facile ed è tutta in salita visto che gli attacchi sono bipartisan. In più la Lega ha decisamente preso le parti del presidente Foa e, dato basilare, Rai 1 fa gola a molti perché da lì si può gestire un potere enorme. Avere una donna alla guida significa anche scombinare i rapporti di potere e di genere in un luogo molto più maschilista di quanto si possa pensare. La vittoria di “Ulisse” di sabato sera su Maria De Filippi è solo una boccata d’ossigeno ma già si affilano le armi in Cda e in Vigilanza. De Santis dal giorno del suo insediamento non ha mai rilasciato interviste.
Che cosa le ha fatto cambiare idea?
«Narrazioni altre rispetto a dati matematici non contestabili. Rai 1 stacca la concorrenza di parecchi punti e anche nel day time sta rimontando un gap antico con Canale 5».
Lei è stata lasciata sola?
«Non mi sono mai sentita in gran compagnia. Una storia antica per una donna che riveste una posizione strategica. Io vado in guerra a mani nude. Il maggiore competitor ha investito milioni su una programmazione che lo illumina sette giorni su sette, hanno nuove produzioni, nuove fiction. Pure nel pre-serale hanno investito tre milioni e mezzo di euro. Certo, io ho le repliche di Montalbano, un meraviglioso Ulisse che ha inorgoglito anche l’ad Salini e di questo sono felice, ho una fiction nuova, Imma Tataranni, con una protagonista bravissima ma ancora poco conosciuta. Soprattutto non ho la Champions e questo mi creerà seri problemi, perché i film hanno risultati inferiori e inoltre, me la ritroverò contro ad attaccare le fiction migliori, mentre lo scorso anno era Rai 1 ad averla e a godere del suo 19 per cento».
Nei retroscena politici all’indomani della crisi, il suo nome era dato per spacciato preferendo sacrificarla al posto del presidente Foa che così avrebbe scampato la mannaia. Come ci si sente offerti in olocausto?
«Piacerebbe a qualcuno che io mi vedessi come agnello sacrificale. Sentirsi vittime è il primo passo per condiscendere alla sconfitta. Certo la nostra è un’azienda difficile. E a proposito del fuoco amico, potrei citare la famosa frase (comica) di Luttazzi: “In Rai non sai mai quando ti arriverà una coltellata ma la cosa certa è che ti arriverà dal tuo migliore amico"».
Qual è la Rai 1 che avrebbe voluto?
«Nella logica della tv lineare che non è poi l’unico consumo oggi, mi piacerebbe portare avanti una rete pluralista in grado di rappresentare la società italiana. In caso mancasse qualcosa io l’aggiungerei senza togliere nulla. La Rai deve andare incontro a una trasformazione per poter affrontare le nuove sfide del mercato come già nei piani dell’ad Salini, una riforma radicale che la renda più libera e snella e dunque competitiva. Io ci credo e non faccio abiure, non ne ho bisogno. Per me parla la mia storia, le etichette sono di comodo. Procedo per mettere insieme una rete degli italiani che vada per addizione. Se manca qualcosa aggiungo. E sfido chiunque ad accusarmi di aver tolto qualcuno per motivi politici, un solo nome di una testa caduta per quel motivo. Ma non c’è».
La politica ha sempre dettato la politica Rai e voi siete messi o tolti dalla politica.
«L’agenda della politica non ha l’informazione come priorità ora. Mi sembra che il problema lo senta di più chi aspira ad occupare poltrone e dunque si agita in tutti i modi possibili».
Ha sentito Salvini?
«Né lui né altri». —