La Stampa, 23 settembre 2019
L’Italia delle culle vuote
Il primo a parlarne era stato il premier Giuseppe Conte: nelle sue dichiarazioni programmatiche, prima di ottenere la fiducia della Camera, aveva sottolineato la necessità «di misure più efficaci di sostegno in favore delle famiglie», citando l’ipotesi di un assegno unico. L’ultimo a tornare sul tema, ieri, è stato Matteo Renzi, che ha detto di voler dare una mano sulla legge di bilancio, annunciando che «la bandiera di Italia Viva sarà il Family Act». Quello annunciato sabato in un’intervista a La Stampa da Elena Bonetti, la ministra “renziana” alla Famiglia.
Mentre il governo litiga sulle iniziative “green” e sulla tassa sulle merendine, nella maggioranza sta prendendo quota l’ipotesi di accelerare il percorso di un’altra misura inserita nel programma di Pd e M5S: l’assegno unico per le famiglie. L’idea è che per ogni figlio a carico fino a 18 anni, cioè senza reddito proprio, venga riconosciuto un assegno di una cifra da stabilire (la proposta di legge ferma alla Camera del dem Stefano Lepri parla di 240 euro). Una misura che avrebbe bisogno di 3 miliardi l’anno per andare a regime. Troppi se si considerano i 26 miliardi da trovare per lo stop dell’Iva e il taglio del cuneo fiscale. Non così tanti, se si guarda alla dispersione di risorse sul tema delle politiche famigliari.
In 6 anni “persi” 13 miliardi
Basta leggere i rapporti annuali dell’Inps, alla voce «trattamenti al sostegno famigliare», per farsene un’idea. Ecco, dal 2012 al 2017 (ultimo dato disponibile) risulta che la spesa per assegni famigliari ai lavoratori dipendenti (Anf) sia stata di circa 25,5 miliardi, a fronte di uno stanziamento di 38,5 miliardi: vale a dire che 13 miliardi non sono andati ai legittimi beneficiari, cioè le famiglie con figli. Due le ipotesi: o chi ne aveva diritto ignorava la possibilità di ricevere l’aiuto; oppure, e più probabile, i limiti di reddito – stabiliti per legge ogni anno – sono troppo stringenti per accedere a quei fondi.
E dove vanno a finire allora queste risorse? «Nel Paese delle culle vuote il paradosso è che questi soldi, quasi 2 miliardi ogni anno, vengono dirottati su altro, magari sulla stessa cassa dei pensionati», fa notare Gigi De Palo, il presidente del Forum delle associazioni familiari, la rete che rappresenta 5 milioni di famiglie in Italia.
Il caso della «mancata distribuzione degli assegni famigliari» era arrivato in Parlamento già nel 2016 durante un question time. L’allora ministro Giuliano Poletti aveva preso atto della situazione. Anche i vertici dell’Inps, il presidente Tito Boeri e il suo successore Pasquale Tridico, si erano impegnati a chiarire. Ma, a oggi, niente è cambiato. L’unica novità è che si sono complicate le modalità di accesso al sussidio: da aprile scorso per ottenerlo è il dipendente (e non il datore di lavoro), a presentare la domanda all’Inps. Le uniche possibilità per continuare a percepire in “busta paga” la somma, legata a reddito e numerosità della famiglia, sono munirsi di credenziali dell’istituto con dispositivo Pin (o l’identità digitale Spid), oppure in alternativa avere la Carta nazionale dei servizi o rivolgersi a un patronato. Così in tanti, tra i 2,8 milioni di dipendenti venti diritto, potrebbero essersi dimenticati di richiedere l’assegno.
L’inverno demografico
La burocrazia non sembra aiutare a invertire la rotta di quello che gli esperti chiamano «inverno demografico»: il tasso di fertilità in Italia è fermo a 1,3 per ogni donna. Nel 2018 la diminuzione delle nascite è stata di oltre 18 mila unità, registrando un calo del 4%, il record negativo dal 1861, l’anno della proclamazione del Regno d’Italia. Il confronto con la vicina Francia è impietoso: nel 2016 il Paese d’oltralpe ha registrato il tasso di fertilità più alto del continente, con circa 2 bambini per ogni donna. Eppure se si considerano gli aiuti dello Stato i numeri non sono dissimili. In Francia per le politiche famigliari si spende il 7.6% del totale della spesa in protezione sociale; in Italia il 6,2%. Ma è il modo in cui vengono allocate le risorse che cambia: a Parigi degli aiuti sistematici, a Roma solo provvedimenti a pioggia.
"Ceto medio dimenticato"
Basta mettere in fila i vari bonus a disposizione delle famiglie italiane: gli assegni famigliari dell’Inps (6 miliardi l’anno), il bonus bebè (circa 0,5 miliardi a biennio), il bonus nascita (800 euro una tantum). Senza contare la miriade di provvedimenti comunali e regionali per provare a facilitare la vita delle famiglie con figli. «Il problema è che in Italia la politica è assistenziale: offre solo un aiuto alle famiglie povere, in base alle delle regole stringenti legate all’Isee, dimenticandosi del ceto medio, che poi è la maggioranza della popolazione», denuncia il presidente del Forum De Palo. Lo stesso che, tra una decina di giorni (a inizio ottobre), ha in programma un incontro con la ministra Bonetti per dettagliare la proposta sull’assegno unico e per semplificare la miriade di bonus oggi esistenti. «Bisogna fare presto – conclude De Palo – Se l’Italia non fa un patto sulla natalità rischia di saltare tutto, dalla sanità alle pensioni. E allora sarà game over».