la Repubblica, 23 settembre 2019
I salti di Tamberi
ANCONA – I cancelli del cielo si sono chiusi. E lui ai Mondiali tornerà a cercare le chiavi per riaprirli. Gianmarco Tamberi, 27 anni, il ragazzo che voleva volare, ha passato un’estate a terra: 2,28 il 6 giugno a Roma (Golden Gala), 2,19 a Rabat dieci giorni dopo, poi più niente, solo gare cancellate. Per una serie di piccoli infortuni. Ha i capelli raccolti in un codino, occhi intensi, dice che qualche bagno al Conero se l’è fatto, che da studente universitario di Economia vorrebbe dare più esami. Come va ora? «A Doha non sarà facile. Torno in gara dopo più di cento giorni. Il primo ottobre ho le qualificazioni, mi sento di provarci, fare presenza non mi interessa, ma l’allenamento non è molto. Non so quanto valgo, mi presento da outsider. Ho avuto incidenti vari: all’arco plantare, al polpaccio, ho dato una tallonata nel riscaldamento, poi uno stiramento. Piccoli guai, diversi tormenti. E soprattutto un orizzonte che ha congelato ogni mio movimento: Tokyo 2020». In che senso? «Penso solo a quello, vivo per quello. Tutto ciò che c’è prima non mi scalda. Sì, capisco, i Mondiali sono importanti, non c’è bisogno di convincermi, io sono un agonista, ma il mio fuoco dentro brucia per Tokyo. Lì ci sarà la svolta: la mia vita si stapperà, in un senso o in un altro. Perché quello che ho detto è vero: io sono congelato, la mia esistenza l’ho messa da parte, non faccio scelte, tutto è in hold, sospeso, anzi oscurato. Nella testa ho solo la prossima Olimpiade, il resto è fermo. Anche la mia storia con Chiara». State insieme da nove anni. «Sì, ma ognuno a casa sua. Non conviviamo. Chissà, magari dopo Tokyo ci sposiamo. Perché a quel punto la mia vita si sarà sbloccata e avrò la risposta che aspettavo a Rio. Devo essere ricompensato per un sogno spezzato, perché mi è stato rubato un pezzo di vita, sento che devo riavere indietro qualcosa. Rompersi la caviglia dopo il record italiano con 2,39. Mi spetta». Nessuno più sfiora il cielo: dal 2,45 di Sotomayor nel ’93 si è scesi al 2,35 di Nedasekau. «Sì, ci siamo tutti fermati. Voli interrotti. Il record mondiale è lì da 26 anni. Anche se nel 2014 la corsa è sembrata riprendere, ognuno spingeva l’altro: Barshim a 2,43, Bondarenko a 2,42, Ukhov a 2,41. Sembrava una questione di attimi, il paradiso era lì ad attenderci, invece siamo finiti tutti all’inferno. Niente più scalate, solo cadute. Una sfida al record che abbiamo pagato cara, ci siamo bruciati le ali. Io mi sono infortunato a Montecarlo il 15 luglio del 2016: a tre settimane dai Giochi di Rio». La gravità si è ripresa la forza. «Il nostro corpo ha risentito dello sforzo di cercare di superare il limite. In 8 siamo finiti in sala operatoria. Ognuno ha perso un pezzo. E quando Barshim a luglio scorso dopo aver sfiorato il 2,46 al terzo tentativo si è infortunato alla caviglia sinistra, quella di stacco, io ho rivissuto il mio trauma. Mi veniva da piangere perché ho visto che non si rendeva conto di quello che avrebbe dovuto affrontare, non aveva ancora capito la gravità. Io sono stato zitto, perché cosa vuoi dire ad un amico: passerai anni tristi e difficili, pieni di frustrazione e magari anche di depressione? In cui alla dedizione fisica per la riabilitazione dovrai aggiungere anche quella mentale. Per me è stato così, ho alle spalle due stagioni in cui la parola divertimento non è esistita più, quando ad agosto 2018 ad Eberstadt ho saltato 2,33 è stata la liberazione da un peso». Sogna mai di volare? «Certo che sì, sogno che volo in alto, che sono in gara, con una voglia tremenda di superarmi, e mi sveglio tutto agitato. E sogno da sveglio Tokyo 2020 per coronare quello che ho sempre inseguito, per chiudere finalmente un cerchio. Lieto fine o no». Questi Mondiali avranno un altro Bolt? «Non credo. Ci vorranno 80 anni per ritrovare un personaggio mediatico come lui. È come Michael Jordan nel basket, non si tratta di essere solo campioni, ma di emanare luce. E loro sono un faro che ancora illumina lo sport». Tre campioni italiani che le piacciono. «Paltrinieri, Zaytsev e l’intramontabile Pellegrini. In più anche se non è italiana e ha smesso ci metto Lindsey Vonn per la forza che ha avuto nei suoi rientri». Stefano Sottile, 21 anni, con 2,33 ha il miglior stagionale nazionale. «Spero che ai Mondiali ci stupirà. Ma credo che all’esordio farà fatica, trovarsi in uno stadio pieno a un appuntamento importante è una cosa che stordisce. Lo so perché ci sono passato anch’io». La NextGen riprenderà a volare alto? «Sì se l’atletica farà più scouting, se si riuscirà a dare più importanza a questo sport, se sapremo far crescere e non perdere i talenti, se ci saranno tecnici professionisti, più aggiornati, e non solo volontari a cui dire grazie, se si capirà che le competenze di chi insegna vanno pagate, come capita all’estero dove l’atleta ha un accordo finanziario con il suo allenatore». È vero che non rinuncia alle partite a basket? «Lasciatemi sfogare, ho bisogno di avere la palla in mano, non posso fare a meno di giocare al campetto tra amici, sì vorrei vincere anche lì, ma so come non farmi male, mi proteggo perché ho Tokyo in testa. L’ho già detto, vero?».