Corriere della Sera, 23 settembre 2019
Quanto inquina un aereo
La guerra dei cieli è anche una battaglia sui numeri. «Gli aerei inquinano a una velocità maggiore rispetto alle previsioni dell’Onu», denuncia l’ultimo studio dell’International council on clean transportation. Nel 2018, calcola, «i velivoli hanno emesso 918 milioni di tonnellate di anidride carbonica, pari al 2,4% del totale globale». Un numero monstre. Più alto di mezzo punto percentuale di quello del 2016 (913,8 milioni di tonnellate). E di quasi il 70% rispetto al 1990 (542,3 milioni).
Questi dati, però, rischiano di travisare la realtà. Perché in parallelo, stando alle elaborazioni del Corriere incrociando una dozzina di pubblicazioni ufficiali, dal 1990 al 2018 i passeggeri sono cresciuti del 327% e le compagnie aeree – un po’ per risparmiare carburante, un po’ per esigenze operative – hanno rinnovato la flotta con velivoli più efficienti. Risultato: nel 1990 ogni viaggiatore imbarcato ha emesso in media 529 chili di diossido di carbonio, scesi a 246,6 nel 2016 e calati a 209,7 nel 2018: -60% in 28 anni.
Non è sufficiente. Per questo gli esperti della Commissione europea sostengono che per distanze di 5-600 chilometri i viaggiatori dovrebbero muoversi con il treno che inquina meno (-79% sulla tratta Milano-Roma, -97% sulla Milano-Zurigo) e grazie all’alta velocità quasi pareggia i tempi di percorrenza.
L’Icao non replica alle «accuse» dell’Icct. «Ci sono molti studi realizzati e non sappiamo quanto siano accurati i numeri», commenta via e-mail William Raillant-Clark, portavoce dell’agenzia Onu. Per questo «alla fine di ogni triennio un comitato interno valuta i trend sull’impatto dell’aviazione per quanto riguarda i gas serra prodotti, l’inquinamento acustico e le emissioni dei motori».
L’esperto
«Sì all’eco-tassa
sui biglietti, ma deve essere introdotta
a livello mondiale»
Alexandre de Juniac, direttore generale della Iata (la principale associazione internazionale delle compagnie) non si dà pace. L’«effetto Greta» rischia di avere conseguenze negative sui conti. «La questione ambientale è una delle sfide più grandi da affrontare», ha detto di recente al Corriere. «Ma c’è molta disinformazione sul tema e in parte è anche per colpa nostra: in questi ultimi dieci anni non abbiamo raccontato bene cosa stiamo facendo».
Il lavoro è su più fronti. Su quello degli aeromobili, per esempio, oggi si punta sui moderni Airbus A350 e gli A330neo, i Boeing 787 e 777X per i voli intercontinentali, gli A220, A320neo e i Boeing 737 Max per i voli di corto e medio raggio. Chi si occupa del traffico aereo ragiona su percorsi di decollo e atterraggio che richiedono meno potenza ai motori. Sempre più compagnie rinnovano la flotta e investono sui bio-carburanti. Diventano pure più trasparenti sulle emissioni di CO2 che si attesterebbe – stando ai comunicati ufficiali – sui 67 grammi per passeggero/chilometro per Ryanair, sui 78 grammi per easyJet.
Il nuovo fronte di polemica tra Stati e vettori è quello dell’eco-tassa presente sui biglietti aerei in Germania e Svezia, da gennaio anche in Francia e forse in Italia. Per de Juniac – che è stato ad di Air France-Klm – è inutile. Per l’esperto Paul Chiambaretto, docente alla Business School di Montpellier, «l’importante è che ci sia una decisione globale altrimenti si rischiano distorsioni di mercato per cui in Europa si pagano e in Cina, che inquina un bel po’, no», avverte durante un’intervista telefonica. Non solo. «Le imposte devono dipendere dal tipo di aereo: non si può far pagare la stessa cifra – come avverrà in Francia – a un Boeing 777 e a un B787: il secondo è più nuovo e inquina molto meno del primo».